15/06/2022
Il (Meta)Cinema Ritrovato
Il “paradiso dei cinefili” è una bolla spazio-temporale dove godere dei prodigi e delle mille sfaccettature – estetiche, socio-culturali, tecniche – del cinema. Naturalmente, è anche un luogo dove scoprire quei (non) rari casi in cui il cinema svela i suoi segreti e li rende protagonisti della scena. Quando il cinema riflette su se stesso, quando gioca con le sue caratteristiche o, perché no, i suoi limiti.
Proponiamo qui solo alcuni consigli di visione, trasversalmente rispetto al programma 2022 del festival, in cui emerge una intenzione metalinguistica del cinema:
- I ferri del mestiere: il cinema visto da dentro
Dalla sezione “Cento anni fa: 1922“, Secrets of a World Industry – The making of Cinematograph Film (Gran Bretagna/1922), che “mostra la fabbricazione di una pellicola cinematografica: perforazione, sviluppo, asciugatura, stampa, calibrazione, taglio e inserimento nei contenitori. È una rarissima occasione per dare un’occhiata all’interno di un laboratorio cinematografico degli anni Venti con tutte le attrezzature, le persone e i procedimenti che servivano a produrre e consegnare le stampe cinematografiche alle case di produzione” (Bryony Dixon e Karl Wratschko) - In un mondo in bianco e nero, i vestiti non possono che essere grigi… O forse no!
Dalla sezione “Cento anni fa: 1922“, il film pubblicitario Changing Hues, “un film pubblicitario elaborato in forma narrativa in cui una ragazza che non può permettersi un vestito nuovo tinge quello vecchio con la tintura Twink. Il film inizia con il suo innamorato pittore che la ritrae e le chiede come mai vesta sempre di bianco o di grigio. Lei si guarda allo specchio ed esamina il proprio guardaroba trovando solo vestiti grigi. Uscita a fare acquisti con il fratellino e la sorellina, vede esposti in una vetrina Twink Dye e Sunlight Soap, entrambi prodotti dalla Lever Brothers. Segue le istruzioni e tinge di un rosa acceso un vestito grigio. Le ultime scene la vedono ballare con i bambini sulle note di una vecchia canzone scozzese, Comin’ Thro’ the Rye. Il film è colorato a mano e a pochoir con alcune sezioni variopinte con le cosiddette ‘tinte jazz’, che fluttuavano da un colore all’altro” (Bryony Dixon) - Lo schermo-specchio: questo film parla di te
Dalla sezione “Ritrovati e Restaurati“, I figli di Sansonia di Filippo Costamagna (Italia/1920)
A metà del film arriva una missiva: “Notizie paterne. Sarò di ritorno fra qualche giorno. Il film è pressoché ultimato. Vi unisco qualche scena che potrete ultimare nella vostra sala di proiezione”. E a quel punto giù a visionare strisce di pellicola (con estremo godimento!), “Ora proietteremo le scene!”. Ed è così che mamma e i due bambini si ritrovano nella sala di proiezione della villa per godere della magia del cinematografo: mise en abyme e schermo dentro lo schermo. - Metacomunicazioni cantate, ballate e di culto
Dalla sezione “Ritrovati e Restaurati“, Singin’ in the Rain di Stanley Donen e Gene Kelly (USA/1952). Il tappeto rosso, le star, il pubblico in delirio, i paparazzi, lo schermo (muto) in bianco e nero in una sala a colori, il set agli studios (accensione di cieli, vento artificiale e fumo d’atmosfera) come strategia di corteggiamento, le sfide del sonoro, la sala doppiaggio. In Cantando sotto la pioggia c’è tutto il cinema in retroscena! “Singin’ in the Rain è dunque una pellicola nostalgica, la rivisitazione di un passato forse non molto lontano nel tempo, ma situato ad anni-luce di distanza quanto a gusto, mentalità, moda, e naturalmente anche tecnologia. Così lontano che la sequenza d’apertura con un’inquadratura dall’alto in campo lunghissimo della zona del Grauman ha il sapore di una scena presa di peso da un cartone animato: i colori, le luci, i movimenti in lontananza, le linee architettoniche non sembrano affatto veri (ricreati), ma appartengono piuttosto a un altro ordine di immaginario, quello di una realtà trasfigurata da una fantasia colorata e infantile, rutilante e microscopicamente grandiosa” (Franco La Polla, Stanley Donen, Gene Kelly. Cantando sotto la pioggia, Lindau, Torino 1997). - Film che riusano altri film 1
Dalla sezione “Documenti e Documentari“, Et j’aime à la fureur di André Bonzel (Francia/2021) “che rivede la sua vita nei filmini degli altri e afferma: ‘tutto il nostro passato è là perfettamente conservato, siamo una suite che si ripete, non sono che un anello di una lunga catena che si ripete’”.
“Usare le immagini degli altri per raccontare la propria storia è un’idea molto bella, insieme modesta e generosa, che lascia immaginare tutto ciò che solo il cinema può produrre in materia di patrimonio condiviso. […] Il nome di André Bonzel dirà forse qualcosa ai cinefili: insieme a Rémy Belvaux e Benoît Poelvoorde ha girato nel 1992 C’est arrivé près de chez vous, urticante satira belga su un reality show dedicato a un serial killer. Bonzel è il francese e il direttore della fotografia del trio infernale spudoratamente formatosi intorno all’Insas, la famosa scuola di cinema di Bruxelles. Se sono noti il destino, sempre così disperatamente esilarante, dell’attore Benoît Poelvoorde e quello molto più tragico di Rémy Belvaux, suicidatosi nel 2006 dopo aver intrapreso una carriera di regista pubblicitario, Bonzel era scomparso nel nulla. Lo ritroviamo sessantenne con questo film di montaggio, un piccolo gioiello delicato e commosso” (Jacques Mandelbaum, Et j’aime à la fureur: journal intime sur pellicules anonymes, “Le Monde”, 20 aprile 2022). - Film che riusano altri film 2
Sempre tra i Documentari in programma al festival quest’anno, un altro film di rimontaggio è Her Violet Kiss di Bill Morrison (USA/2021), che “ricontestualizza una scena di un muto tedesco perduto del 1928, Liebeshölle (o Pawns of Passion, 1929), per il pubblico contemporaneo durante una pandemia globale. Il film di partenza era diretto da Wiktor Biegański e Carmine Gallone e interpretato da Olga Tschechowa. È stato considerato perduto finché Bruce Lawton non ha scoperto una copia incompleta in un lotto di pellicole che era stato riposto in un granaio della Pennsylvania, e l’ha donata al centro nazionale di conservazione del materiale audiovisivo della Library of Congress. Il regista Bill Morrison ha scansionato la pellicola nel 2013 e questa copia è rimasta nel suo archivio personale, mai vista fino a oggi. In questa nuova versione il nitrato in via di deterioramento è stato scansionato, rallentato e rimontato con la partitura di Michael Montes.” - La metafora sulla fine di un cinema e di una generazione
Dalla sezione “Ritrovati e Restaurati“, The Last Picture di Peter Bogdanovich (USA/1971)
Un gruppo di ragazzi raggiunge la maturità al college del desolante paesino texano di Anarene. Con la fine dell’adolescenza arriva la piatta (violenta) realtà dell’età adulta. L’ultimo spettacolo (Red River di Howard Hawks) è proprio quello che chiuderà per sempre il cinemino del paese, e con lui le illusioni di un’intera generazione alle porte della guerra in Corea, che si porterà via la vita di tanti giovani americani.
“Cinema della nostalgia? Non nel senso (spesso sterile) che si diede ad altri film dell’epoca (anche del medesimo autore). Come ha scritto Franco La Polla in Il nuovo cinema americano 1967-1976, Bogdanovich attraverso il suo iperrealismo ‘ricrea la realtà; la ripropone in una dimensione che non ne nega la sostanza di falsificazione, ma la evidenzia in quanto tale. […] Perciò, quello che di primo acchito può apparire nostalgico e rassicurante si rivela uno straziante percorso nella falsificazione immaginaria, ‘mitologica’, operata dal cinema classico, e nella realtà inane, deprimente che (allora come ora) sottendeva questa rappresentazione. Per questo The Last Picture Show è così triste, perché il mito (pur tanto amato) rivela le sue basi fragili e volatili, siano esse fatte di celluloide o della stoffa dei sogni e dei ricordi” (Emanuela Martini, Shall We Gather at the River? Tra il West e il nulla: L’ultimo spettacolo, “Cineforum. Nuova serie”, n. 5, marzo 2022).