Sorelle del cinema
Quest’anno le sorelle del cinema hanno una forte presenza da entrambi i lati della macchina da presa. Richiamiamo la vostra attenzione su una retrospettiva illuminante: l’omaggio a Suso Cecchi d’Amico, amorevolmente curato dai suoi figli. È uno sguardo di famiglia su una carriera che comprende la collaborazione a oltre 120 sceneggiature, ricchissimo contributo all’epoca d’oro del cinema italiano e non solo. Allora unica sceneggiatrice donna del cinema italiano, la d’Amico fu una maestra della ricerca sul campo, brava a capire e a conoscere la gente e a ideare dialoghi, situazioni e personaggi nati da una quotidianità insistentemente osservata e poi messa in parole. Mostrò una comprensione impeccabile delle diverse sfumature di un vivere fatto di gioie e di angosce.
La retrospettiva sulla direttrice della fotografia e regista Elfi Mikesch presenta cinque film da lei realizzati e offre – secondo le sue stesse parole – una tangibile rappresentazione visiva dei sogni che pertengono all’impossibile e al proibito. La selezione di Martin Koerber ci porta in un suggestivo universo di immagini che parlano di “passione, potere, amore, dolore e morte”.
Ma le donne puntano la loro macchina da presa anche su altre donne. Antonia: A Portrait of the Woman (1974), di Judy Collins e Jill Godmilow, rievoca la vita e la carriera della direttrice d’orchestra e pianista classica Antonia Brico. Le (vere) sorelle del cinema Clara e Julia Kuperberg hanno puntato la loro macchina da presa su Dorothy Arzner in Une pionnière à Hollywood, nuovo documentario sull’incredibile storia di una grande autrice della Hollywood classica che introdusse una serie di innovazioni nello studio system. Lee Grant, attrice spesso brillante, passa dietro la macchina da presa in Down and Out in America (1986) per indagare il devastante impatto delle politiche reaganiane sugli emarginati, mostrando un intenso impegno politico che non ha perso la sua attualità. Lo stesso impegno segnò la carriera della cineasta libanese Jocelyne Saab, che filmò tutti gli episodi salienti – rivoluzioni, guerre, atrocità – del Medio Oriente del Ventesimo secolo con brutale sincerità. Vedremo quest’anno il suo classico documentario del 1974, Les Femmes palestiniennes.
C’è poi da scoprire l’opera cinematografica dell’artista e filmmaker Joyce Wieland. Non è l’unica regista donna proveniente dal mondo della pittura. In Un rêve plus long que la nuit (1976), la scultrice e pittrice franco-americana Niki de Saint Phalle usa le immagini in movimento come nuovo mezzo d’espressione di sé. Ci sono poi registe donne che rivisitano e decostruiscono il lavoro delle loro controparti maschili: Chantal Akerman offre la sua ipnotica rivisitazione di La donna che visse due volte (1958) di Alfred Hitchcock in La prigioniera (La Captive, 2000), che vedremo in versione restaurata.
Alcune sorelle del cinema dovevano essere sottratte all’ombra dell’abbandono e dell’oblio. La sezione dedicata alle dive russe del cinema muto italiano, frutto di una ricerca appassionata e di un meticoloso lavoro investigativo, è un’incursione in un mondo un tempo ritenuto scomparso per sempre. Il programma sulle grandi dive del muto, finora relegate a ipotetiche note a piè di pagina nei libri sui film perduti, testimonia il magnetismo incandescente di Diana Karenne, Helena Makowska, Thaïs Galitsky e Ileana Leonidoff.