SUSO CECCHI D’AMICO, SCRIVERE SU MISURA

A cura di Masolino, Silvia e Caterina d’Amico

A parte i casi di registi, Chaplin in testa, che dirigono film completamente scritti da loro, non è sempre facile distinguere la mano dello sceneggiatore. Innanzitutto, le sceneggiature sono quasi sempre firmate da più autori. Poi,  non  è agevole nemmeno ricostruire il copione di partenza. Le sceneggiature che oggi l’editoria pubblica sono nel maggior numero dei casi ricavate dai dialoghi del film finito, dialoghi che raffrontati con lo script originale mostrano cambiamenti, non di rado numerosi e importanti. Certo, alcuni sceneggiatori – Zavattini! – furono richiesti per una certa loro specialità, per proporre un loro tipico spunto, o per arricchire una storia con il loro tocco riconoscibile. Ma in Italia i film, i film di qualche pretesa, sono sempre stati considerati opera innanzitutto del regista, il quale, diversamente dalla prassi consueta negli Stati Uniti o in Inghilterra, collabora sempre alla sceneggiatura, che quindi fa capo a lui. Così, alla richiesta di contribuire alla definizione della personalità autoriale (diciamo così) di mia madre Suso Cecchi d’Amico, che nella sua lunga attività firmò, quasi mai da sola anche se questo è accaduto, più di centoventi sceneggiature, la mia prima reazione è stata: impossibile. Mia madre esordì in pieno neorealismo e poi attraversò tutte le fasi del nostro cinema, contribuendo a molti generi, dalla commedia, all’italiana o meno, alla riduzione di grandi testi letterari, dal cinema di impegno sociopolitico alle grandi produzioni internazionali. La sua firma compare anche nelle prime opere di una serie di registi poi diventati celebri e illustri… Già. È stata questa osservazione a suggerirmi una specie di risposta alla domanda di cui sopra. Il film, si è detto, è del regista. Gli scrittori lavorano con lui e per lui. Quella dello sceneggiatore è un’attività servile, nella quale non a caso romanzieri affermati, orgogliosi della qualità della loro pagina, si sono trovati a disagio. Tutti, scrittori e sceneggiatori, mettono nella preparazione del film il loro talento oltre che per inventare storie, per riprodurre la vita, per entrare nella testa delle persone; e i registi piegano questo talento ai loro fini. Ecco, forse, mi sono detto, dov’era la marcia in più di mia madre, sempre tanto richiesta. Lei univa alla sua capacità di capire e conoscere la gente e il mondo esterno, quella di  capire anche il regista che l’aveva chiamata, e quello che costui aveva in testa. Era una psicologa di registi. Sapeva, o presto imparava, cosa voleva Visconti, cosa Blasetti, cosa Zampa. Così penso che il vero omaggio che le si può rivolgere non consista tanto nel cercare la sua mano, mano che lei non esibiva affatto, in questo o in quel film, ma nel passare in rassegna un numero di pellicole diverse tra loro quanto i registi con cui lei lavorò: registi che appunto, possiamo pensare anche grazie al suo aiuto, in quelle occasioni diedero il meglio di sé.

Masolino d’Amico

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