23/06/2022

Fotografia e cinema (e la loro liaison dangereuse al Cinema Ritrovato)

Fare cinema non è fotografare la realtà, ma fotografare la fotografia della realtà.
Stanley Kubrik

 

Nel programma della XXXVI edizione del Cinema Ritrovato, trasversalmente alle sezioni, possiamo individuare un fil rouge dedicato alla fotografia: da un lato, proponiamo film dedicati a grandi nomi dell’arte fotografica; dall’altro, segnaliamo in questo articolo alcuni titoli diventati celebri per la cura o la straordinarietà nelle scelte di direzione della fotografia.

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Due film dedicati alle opere e all’attività artistica di due fotografi (e non solo) che hanno cambiato il corso della fotografia e del cinema così come li conosciamo oggi:

Exposing Muybridge (Marc Shaffer, 2021) nella sezione “Documenti e Documentari
Il modo migliore per parlare del film e del suo protagonista è attraverso le parole del suo autore Marc Shaffer: “Mentre approfondivo la conoscenza di questo complesso fotografo, che fu il primo a fissare su pellicola qualcosa che si muove più velocemente di quanto l’occhio umano possa vedere (i cavalli al galoppo), mi sono lasciato sedurre non solo dalle sue immagini ma anche dalla sua straordinaria storia, che grondava melodramma e sembrava un prequel della nostra. […] Scavando ancora, ho osservato come Muybridge brandisse la sua macchina fotografica per produrre fatti e finzioni, documentare e distorcere, creare miti e raccontare storie. E – a guardar bene – rivelare una forma di verità, anche se non sempre era quella che sembrava a prima vista. Ho iniziato così a considerarmi un discendente di quell’uomo: in piedi dietro alla mia macchina da presa, alla ricerca della mia verità, impegnato a creare per voi la mia personale versione di Muybridge”.

The Treasure of His Youth: The Photographs of Paolo di Paolo (Bruce Weber, 2021) nella sezione “Documenti e Documentari
Un film realizzato da un grande fotografo, Bruce Weber, su un altro grande fotografo recentemente ‘ritrovato’, Paolo Di Paolo
“Circa vent’anni fa, ero nel seminterrato della casa dei miei genitori alla ricerca dei miei sci. Mentre mi guardavo intorno, scoprii uno schedario pieno di negativi e scatole Agfa arancioni piene di stampe. Andai da mio padre e chiesi: ‘Cosa sono queste foto?’. Lui rispose: ‘Beh, una volta ero un fotografo’. All’epoca avevo vent’anni e lui non me ne aveva mai parlato. Avevo sempre conosciuto mio padre come scrittore e storico, che era stata la sua professione per tutta la vita. […]
Mio padre usava sempre la luce naturale e preferiva la spontaneità all’immagine costruita con cura. Si considerava un dilettante – fotografava per amore e per passione – che ebbe la fortuna di fare della fotografia una professione” (Silvia Di Paolo).
“Le fotografie di Paolo hanno toccato la mia anima – sono come versi dell’età d’oro della poesia romana, o un’aria cantata da Franco Corelli. Sono entusiasta di vederlo unirsi alla schiera dei fotografi famosi del suo tempo, come Cartier-Bresson in Francia o Cecil Beaton in Inghilterra” (Bruce Weber).
Paolo di Paolo e Bruce Weber, amici e fotografi, introdurranno insieme il film martedì 28 giugno alle ore 18:30 presso il MAST (prenotazione obbligatoria sul sito www.mast.org).

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Accanto a questi due esempi, espressamente dedicati all’arte di catturare la realtà in immagini fisse e renderla eterna, saranno molti i film del Festival caratterizzati da una direzione della fotografia che ha fatto parlare di sé e che stupisce per le sue valenze narrative, estetiche, semantiche, e/o tecnologiche:

Nostalghia (Andrej Tarkovskij, 1983) nella sezione “Ritrovati e Restaurati
Grazie al lavoro di CSC – Cineteca Nazionale presentiamo, dopo un complesso restauro, il penultimo film di Andrej Tarkovskij, poema della lontananza e della fede, addio del regista alla sua patria ed elogio della follia, dove assieme a Beppe Lanci – che poi ha seguito e curato anche i lavori di restauro – inventa una fotografia poetica, mai vista prima, ora in bianco e nero, ora a colori, ora con mezze tinte sospese tra colore e bianco e nero. Inquadrature geometriche, sguardi in macchina, colonna sonora intrisa di canti, gocciolii, latrati, mentre la scena è continuamente allagata di pioggia, neve, acque termali e pozzanghere.
Sarà possibile scoprire molto di più su questo difficile ed entusiasmante restauro durante un incontro appositamente dedicato: Case Study: Restoring Andrej Tarkovskij’ Nostalghia con Alberto Anile (CSC – Cineteca Nazionale), Giuseppe Lanci (direttore della fotografia).

Una giornata particolare (Ettore Scola, 1977) nella sezione “Forever Sophia
Il regista e il direttore della fotografia Pasqualino De Santis, per rievocare l’atmosfera di un passato plumbeo, attuano un’operazione di grande radicalità e sperimentazione visiva. Scrive Scola: “Già in partenza tutto quello che riguardava l’ambientazione e tutti i capi di vestiario erano stati decolorati. Poi girammo con un filtro speciale, e quindi decolorammo ancora in stampa. E questo non fu soltanto per fare assomigliare maggiormente la fotografia ai pezzi di documentario con cui avevo aperto il film, ma perché i ricordi miei, della casa in cui abitavo a Piazza Vittorio a quell’epoca, sono in quella tonalità. Il colore della Roma di quei tempi nel mio ricordo è un non colore neanche tanto grigio ma un po’ chiuso, un po’ spesso, come quello di una nebbia dentro le stanze, che poi al film è servito come lieve simbolo – anche se io i simbolismi li amo poco – di chiusura, di prigione; anche lì di esclusione”. La Technicolor mise a punto un sistema di stampa – ENR – che permetteva di desaturare i colori per ottenere il tono fotografico voluto da Ettore Scola e De Santis. Il procedimento è ormai irriproducibile in pellicola ed è stato possibile ricrearlo solo grazie al digitale. Le lavorazioni a cura del CSC – Cineteca Nazionale sono state effettuate presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata con la supervisione di Luciano Tovoli e dello stesso Ettore Scola. Leone d’oro per il miglior film restaurato a Venezia Classici 2014.

Et j’aime à la fureur (André Bonzel, 2021) nella sezione “Documenti e Documentari
Usare le immagini degli altri per raccontare la propria storia è un’idea molto bella, insieme modesta e generosa, che lascia immaginare tutto ciò che solo il cinema può produrre in materia di patrimonio condiviso. […] Il nome di André Bonzel dirà forse qualcosa ai cinefili: insieme a Rémy Belvaux e Benoît Poelvoorde ha girato nel 1992 C’est arrivé près de chez vous, urticante satira belga su un reality show dedicato a un serial killer. Bonzel è il francese e il direttore della fotografia del trio infernale spudoratamente formatosi intorno all’Insas, la famosa scuola di cinema di Bruxelles. Lo ritroviamo sessantenne con questo film di montaggio, un piccolo gioiello delicato e commosso. […] Bonzel ha usato filmati amatoriali che – come spiega nella prefazione del film la sua voce fuori campo – colleziona da una vita. Sulle immagini di decine di ignoti dilettanti, ritratti di famiglia impressi su celluloide da cui traspare una felicità bonaria che nulla può corrompere, si delinea una storia personale più cupa, più frammentata, più misteriosa: comprendiamo allora abbastanza rapidamente come la sua necessità di descriversi abbia bisogno della felicità filmata degli altri.

Il Carso (Franco Giraldi, 1960) nella sezione “Documenti e Documentari
Un cortometraggio prodotto dalla Documento Film e girato sul Carso triestino durante le vacanze di Natale del 1959. Dato per perduto dallo stesso regista, fino a tre anni fa. Franco Giraldi, all’epoca ex giornalista cinematografico emigrato a Roma e attivo come assistente alla regia, firma un personalissimo, dolceamaro affresco ‘western’ sulla propria terra d’origine. Giuseppe Pinori – in seguito direttore della fotografia per Nanni Moretti, Marco Tullio Giordana, i fratelli Taviani – immortala tramite immagini indelebili il duro lavoro quotidiano dei pescatori e dei contadini di Santa Croce/Sveti Križ.

Ken (Kenji Misumi, 1964) nella sezione “Kenji Misumi: un autore inconsapevole
Misumi lavorò quasi esclusivamente con materiale storico. Ken è uno dei rari gendai-geki (film d’ambientazione contemporanea), atipico per questo e anche per l’austera fotografia in Scope in bianco e nero che lo distingue dai film coevi del regista (al direttore della fotografia Chikashi Makiura si deve anche lo splendore cromatico di Kenki, tra le altre collaborazioni con Misumi). 

Až přijde kocour (Vojtěch Jasný, 1963) nella sezione “Ritrovati e Restaurati
Fu il primo film a colori e panoramico di Jasný, che usò il colore non per creare un’imitazione meccanica della realtà ma per donarle un ulteriore livello di senso e amplificare il messaggio dell’opera. Questo utilizzo era incoraggiato dal genere: un fiaba moderna con elementi satirici e morali. Il ‘personaggio’ chiave è un gatto magico, il cui sguardo fa sì che le persone cambino colore a seconda delle loro qualità e delle loro azioni. I bugiardi diventano viola, i ladri grigi, gli infedeli gialli e gli innamorati rossi. Quando il film uscì, gli spettatori e la critica diedero per scontato che la colorizzazione fosse frutto di procedimenti chimici. Era vero solo in parte. L’effetto fu perfezionato dai costumi e dalle maschere degli attori, nonché dalla fotografia di Jaroslav Kučera, il cui talento emerge anche nelle scene meno spettacolari, quando sottolinea la bellezza della campagna ceca e la grazia fotogenica della città di Telč.

The Godfather (Francis Ford Coppola, 1972) nella sezione “Ritrovati e Restaurati
Stranamente, due delle principali scelte creative di Coppola, che oggi paiono indispensabili sia a questo film che al resto della trilogia, furono inizialmente contestate dalla Paramount. Il direttore della fotografia Gordon Willis perfezionò il suo registro d’illuminazione low-key con vaste aree d’ombra, insinuando il seppia nell’equilibrio cromatico e contribuendo a inaugurare quella che potrebbe essere considerata una nuova epoca della fotografia cinematografica. Per quanto riguarda il compositore Nino Rota, che aveva lavorato con i più grandi registi italiani del dopoguerra ma mai per un film americano, con The Godfather ottenne una fama mondiale.

Carmen (Francesco Rosi, 1984) nella sezione “Ritrovati e Restaurati
Superate alcune iniziali reticenze dovute alla sua scarsa dimestichezza con l’opera lirica, Rosi si appassionò al progetto – “Carmen è, secondo me, la più cinematografica delle opere liriche” – scoprendosi in sintonia con Bizet perché “considera l’amore fra un uomo e una donna esattamente come me: l’amore fra due esseri che sono e restano inesorabilmente degli avversari”. Volle realizzare “un lavoro d’interpretazione visiva, non solo del libretto, ma anche della musica”, così che “ad ogni nota corrisponda sempre un’immagine precisa che si imponga allo spettatore”, grazie alla plasticità e ai cromatismi della fotografia di Pasqualino De Santis.

Tenebre (Dario Argento, 1982) nella sezione “Ritrovati e Restaurati
Tenebre segna una rottura con i due film precedenti [Suspiria e Inferno]. Dai cromatismi accesi sono passato a una fotografia quasi in bianco e nero. Dalle scenografie eccentricamente composite sono arrivato a un’ambientazione romana inedita, un po’ futuribile, con poco traffico, un po’ di verde e belle case abitate da gente squilibrata. L’ho girato nel quartiere EUR, ma ho avuto a disposizione anche bellissimi interni originali come la villa dell’architetto Sandro Petti, dove ci sono pareti piene di splendidi quadri a collage del pittore Mimmo Rotella. Ho cercato di illuminare, come in pieno sole, anche gli omicidi che avvengono di notte. Volevo dimostrare che le tenebre non sono le sole compagne del delitto e dell’orrore, bensì anche il giorno. Buio=paura’ è una formula ormai superata” (Dario Argento, in Fabio Maiello, Dario Argento, confessioni di un maestro, Alacran edizioni, Milano 2007).

Decameron Nights (Hugo Fregonese, 1953) nella sezione “Hugo Fregonese, il vagabondo
Decameron Nights è un film bello e solido, abilmente costruito per mettere in risalto sia le location spagnole (che il più delle volte sostituiscono le colline fiorentine) sia le notevoli qualità del cast. Ritroviamo ancora una volta i temi cari a Fregonese della prigionia e della fuga, qui trasposti sul piano erotico. Lavorando con il direttore della fotografia britannico Guy Green, Fregonese manipola abilmente la palette dei colori, contrapponendo l’illuminazione naturale e le tonalità terrose della cornice narrativa alle ombre espressionistiche e agli audaci colori primari degli episodi. Un film seducente e generoso che contrasta piacevolmente con le opere più cupe del regista.

Black Tuesday (Hugo Fregonese, 1954) nella sezione “Hugo Fregonese, il vagabondo
Questo feroce noir fu l’ultimo film hollywoodiano di Fregonese. Il direttore della fotografia Stanley Cortez, che usa qui per la prima volta in un lungometraggio la rivoluzionaria pellicola Tri-X in bianco e nero ad alta velocità della Kodak, offre immagini che – per citare due dei suoi lavori più importanti – rivaleggiano con la complessità spaziale e i dettagli meticolosi di L’orgoglio degli Amberson e nello stesso tempo prefigurano l’uso forte e quasi astratto dello ‘spazio negativo’ nella Morte scorre sul fiume (film con cui Black Tuesday condivide una misteriosa somiglianza).