25/06/2019

Intervista alle curatrici del libro ‘Epifania del vedere negato’ di Sara Iommi

Sabato 22, alla Biblioteca Renzo Renzi di Piazzetta Pasolini, si è tenuta la presentazione del libro Epifania del vedere negato di Sara Iommi, edito da Diabasis, alla presenza della mamma di Sara, di Roy Menarini e di tre dei curatori del volume: Chiara Checcaglini, Elisa Mandelli e Lucia Tralli.

L’emozione è stata tanta e ricordare Sara in quello che lei chiamava “il tempio” – dello studio, della crescita, delle gioie condivise con chi le voleva bene – ha un significato e un valore molto profondi.

Com’è nata l’idea di questo libro?

Ci è sembrato naturale e giusto che il lavoro di Sara venisse restituito alla famiglia e alla collettività, per un motivo affettivo ma anche scientifico: la sua ricerca ha infatti scavato nel profondo del tessuto rurale italiano, sviscerandone aspetti importanti e inediti che meritavano di essere condivisi con la comunità. Questa pubblicazione è un po’ una summa di tutti i suoi lavori, della sua ricerca e della sua produzione; Sara scriveva tanto e in tante forme diverse ma mancava una pubblicazione unitaria, una sorta di cardine della sua opera che può essere ben rappresentato dalla sua tesi di dottorato.

Qual è secondo voi il fil rouge della ricerca di Sara?

Il lavoro di Sara si propone di ricostruire una filmografia il più possibile completa del documentario corto italiano sul mondo agropastorale. Il suo studio copre un range temporale che va dal 1939 al 1969 e si concentra in particolare sugli anni ’50 e i primi ’60.
L’obiettivo primario della sua ricerca è la preservazione di un mondo rurale fatto di oggetti, ritualità, pratiche e luoghi abbandonati o desueti; è quasi un tentativo di fermare il tempo, per quanto possibile, di dare voce e anima a una memoria culturale fondamentale per il nostro paese. Il contesto storico della sua ricerca sono gli anni del boom economico, di un’industrializzazione frenetica che travolge e schiaccia il mondo contadino, destinandolo alla scomparsa: l’apocalisse culturale, come era solita chiamarla Sara.

Il libro segue vari fili e ha al suo interno molti elementi che riguardano non solo la storia del cinema italiano ma anche la storia d’Italia tout court, l’etnografia, l’antropologia visuale.
La figura di Ernesto De Martino, noto antropologo italiano, funge un po’ da guida all’interno di questo percorso. Oltre ad aver studiato i suoi testi, Sara ha infatti collaborato con l’Istituto De Martino, tentando di mettere in atto un duplice salvataggio: con lo stesso spirito con cui De Martino e la sua scuola hanno cercato di salvaguardare la memoria storica contadina e rituale, lei ha cercato di salvare e portare alla luce i film che questa memoria la salvaguardavano.

A una prima parte metodologico – storica focalizzata sulla condizione italiana del periodo e concentrata sugli elementi che verranno poi ripresi nei documentari, si affianca una seconda parte dedicata alla produzione e distribuzione dei film, che era allora molto complessa, e alle leggi che ne permisero lo sviluppo ma ne sancirono in qualche modo anche la fine, a causa delle rigide sovvenzioni pubbliche.

Successivamente Sara divide l’Italia per zone geografiche, eliminando l’approccio autoriale e focalizzandosi sulle diverse regioni a seconda dello studio dei riti: le aree più raccontate sono sicuramente la Lucania, la Sardegna, la zona del Po. Questa suddivisione le ha permesso di concentrarsi sugli autori che hanno dedicato la loro opera a questa forma cinematografica, figure spesso meno note ma che hanno dato un grande contributo a questo genere di studi. Tra tutti spicca Luigi di Gianni, autore del frame usato in copertina e personaggio fondamentale nello studio di Sara.

Come avete organizzato il lavoro di revisione?

Vorremmo innanzitutto precisare che la scrittura di Sara è felicemente non accademica: precisa e puntuale ma bella da leggere, avvincente, prodiga di aggettivi. Una scrittura che trasuda passione, proprio come lei.
Nell’approcciarci al testo abbiamo deciso di lasciare tutto com’era, di non tagliare nulla, procedendo con un lavoro di pulizia elementare: ognuno di noi ha revisionato un capitolo, aggiustandone le note e lavorando con le norme editoriali, e poi è stata fatta un’uniformazione finale. La tesi era già fatta e ne abbiamo lasciato intatta la struttura.

Sara aveva questo modo naturale di arrivare alle persone, creando e donando il trasporto che metteva nei suoi lavori ed era giusto che mettessimo a disposizione di tutti questo suo modo semplice di comunicare cose non semplici.

Com’era Sara da studiosa? Qual era il suo approccio alla ricerca?

Sara era impetuosa, entusiasta. Aveva la capacità di inseguire gli oggetti, di restituirgli un’anima. Se ne appassionava in una maniera tutta sua, infondendo entusiasmo in chiunque la ascoltasse.

Il suo oggetto di studio si è rivelato fin da subito complicato: molti film non erano tracciati e Sara, da inseguitrice qual era, ne ha dovuto scovare le tracce negli archivi d’Italia, in queste vere e proprie spedizioni etnografiche coadiuvate dalla volontà di ascoltare, reperire, scoprire.
Molti personaggi che Sara ha incontrato – citiamo tra gli altri Cecilia Mangini, Luigi di Gianni, Giuseppe Morandi – l’hanno aiutata a tessere letteralmente un filo al suo lavoro, conducendola di volta in volta nell’anima dei luoghi, al cuore della sua ricerca.

Sara era una raccoglitrice di storie, e queste storie poi le raccontava a un pubblico amplissimo di persone che se ne innamoravano.

Nel suo percorso da insegnante per “Ec.co”, un consorzio di università americane, è riuscita a trasmettere la sua passione per il mondo contadino italiano a varie classi di studenti americani, aprendo loro le porte a un mondo sconosciuto eppure così affascinante, grazie all’infinito potere della parola con cui riusciva a comunicare.

C’è una tematica in particolare che può riassumere il lavoro di Sara?

Probabilmente è la dimensione collettiva ad attraversare tutta la sua ricerca come un sentiero guida da percorrere con cura e dedizione.
Fondamentali sono infatti i momenti rituali in cui l’origine ancestrale del rito fonde elementi pagani e cattolici in chiave popolare e collettiva, appunto. Da qui emerge il tema fondamentale del lavoro che si declina in una forma di solidarietà profondamente umana tra le comunità ma anche di denuncia sociale.
“Gli ultimi“ sono i veri protagonisti del suo lavoro e della sua storia, del modo in cui lei ha scelto di raccontare e raccontarli, contrapponendosi in un certo senso all’ipocrisia istituzionale, che elogiava i valori cardine della cultura contadina mascherandone lo stato di profonda miseria.

Quello di Sara è un atto di profondo resistenza, che rispecchia la sua militanza politica e il suo impegno sociale.

Vi piacerebbe ricordare qualche aneddoto?

Lucia: Sul Cinema Ritrovato ne abbiamo tantissimi. Questo era per noi un momento gioiosissimo dell’anno, in cui trovarci tutte insieme tra una proiezione e l’altra e discutere di film, discutere di tutto. La Cineteca e i suoi “affiliati“ diventavano la nostra casa, i nostri luoghi.

Ricordo che nel luglio 2011, dopo la proiezione di  Le sang des Bêtes, un documentario che ha come tema il macello degli animali, Sara rimase talmente colpita che decise di diventare vegetariana. E ha mantenuto davvero il proposito!

Nell’ultima edizione del Cinema Ritrovato che abbiamo fatto insieme invece, nel 2015, Sara mi raccontò di avere intercettato Luigi di Gianni che gironzolava da qualche parte e di avergli dato un passaggio, rischiando di prendere una multa. Ma precisò che questo autore aveva dato così tanto al cinema italiano che sì, una multa per lui l’avrebbe presa volentieri!

Chiara: Quando ci siamo laureate alla specialistica, Sara aveva fatto una tesi sul paesaggio nel cinema. Ricordo che per la prima volta mi sono commossa ad una laurea non solo per il fatto in sé, ma anche per quello che avevo sentito. Ero rimasta ammutolita dalla sua esposizione, dall’entusiasmo trasmesso anche in un’occasione squisitamente istituzionale.

Elisa: Io ricordo di essere andata alla sua discussione di dottorato nonostante lei non volesse nessuno. Mi sono infilata e le ho detto “Sara sono qua!”. Ma lei non si è arrabbiata, non si arrabbiava mai.

Sara, non ci siamo mai incontrate ma oggi ti ho conosciuto un po’ anche io, nelle parole e nei ricordi in cui sei e sarai. Sempre.

Intervista a cura di Alice D’Isernia
Nell’ambito del corso di Alta Formazione per redattore multimediale e crossmediale, nel progetto di formazione della Cineteca di Bologna.


Epifania del vedere negato. I l mondo agropastorale nel documentario corto italiano (1939-1969) di Sara Iommi
A cura di Chiara Checcaglini, Giacomo Di Foggia, Elisa Mandelli e Lucia Tralli
Diabasis Ed. 2019

Nella gallery foto di Margherita Caprilli