Intervista a Riccardo Costantini, Cinemazero

In occasione della presentazione di Ciao, Federico! di Gideon Bachmann, preceduta dal cortometraggio Fellini, Mastroianni, Masina – Interviste sul set di Ginger e Fred dello stesso autore, abbiamo intervistato Riccardo Costantini di Cinemazero.

Come nasce e si è sviluppata nel tempo la collaborazione fra Cinemazero e la Cineteca di Bologna?

L’affiliazione nasce sulle modalità che abbiamo di lavorare. Sia la Cineteca, in grandissimo a Bologna, sia Cinemazero, in una dimensione più ridotta a Pordenone, lavorano sul cinema classico, sul recupero del cinema e della Storia del Cinema da sempre. Cinemazero è uno degli organizzatori delle Giornate del Cinema Muto che è un festival parallelo al Cinema Ritrovato. Da sempre Cinemazero ha archivi in pellicola che ha poi sviluppato, in particolare per le ricerche su Pier Paolo Pasolini (altro parallelismo con la Cineteca di Bologna). Ha poi acquisito l’archivio di Gideon Bachmann che è stato un amico, un intervistatore, un regista di documentari su Pasolini per più o meno tutta la vita di questo. Così nel tempo si sono incrociati i percorsi della Cineteca e di Cinemazero cercando di focalizzarsi sugli autori.

Riguardo Pasolini abbiamo già fatto molto e faremo ancora, ma adesso, visto che il prossimo anno sarà il centenario della nascita di Federico Fellini, è l’occasione perfetta per poter lavorare insieme sia sui materiali in pellicola – alcune cose che presentiamo quest’anno al festival come Ciao, Federico! di Bachmann, uno dei pochi a girare backstage nonché a girare il backstage più completo su Fellini in azione – e poi anche sugli archivi fotografici. Bachmann è stato oltretutto un fotografo ed ha scattato foto di più o meno tutta la carriera di Fellini; ha inoltre collezionato foto anche di altri e quindi l’idea è di costruire una grande mostra in particolare dedicata a Mastroianni e Fellini giocando sul fatto che fossero due alter ego.

Quindi è da questo che nasce la collaborazione anche per la mostra urbana della XXXIII edizione del Cinema Ritrovato?

Sì, l’idea che avevo proposto a Gian Luca Farinelli per valorizzare alcuni materiali di Bachmann, innanzitutto perché sono molto belli (“bello” è una parola di cui si abusa però le foto sul set di 8 ½, ora per la città, diffondono bellezza), era di poterle mostrare e di poter trasformare anche il centro cittadino in un luogo che attraverso il cinema acquisisce un ulteriore elemento di bellezza. È davvero sorprendente in questi giorni vedere le persone, di diverse fasce d’età, che si scattano selfie di fronte a Fellini e Mastroianni sul set di uno dei più importanti film della storia del cinema, è segno che queste foto parlano a tutti anche oggi.

Lei ha scritto il libro “Le invenzioni della memoria – Il cinema di Federico Fellini” e oggi è qui a presentare questi lavori di Bachmann che, oltre a mostrarci un Fellini diverso da quello che possiamo immaginare, sono stati restaurati. Come pensi ci si possa confrontare con questi lavori?

Quando ci occupiamo di un grande maestro di qualsiasi arte c’è necessità di avere i documenti. Al cinema la sensibilità per il recupero di documenti storici è arrivata un po’ più tardi rispetto ad altre arti per cui c’è la necessità di recuperare un po’ di terreno. Ritengo che fare questo tipo di lavoro e quindi restaurare, digitalizzare e mostrare, soprattutto quest’ultimo, sia un obbligo perché spesso di questi grandi maestri si parla senza conoscere nel dettaglio che cosa hanno fatto e come lo hanno fatto. I lavori di Bachmann soprattutto si indirizzano verso questa seconda parola, quindi non sul “cosa”, ma sul “come” perché ci mostrano tutto l’atto creativo. Fra l’altro è curioso perché Bachmann ha un modo di lavorare su più media: fotografa, registra interviste audio e riprende, e credo che solo nell’unione, diciamo così, dei tre medium, si potrebbe avere un ritratto estremamente fedele di quello che poi è un artista fra i più grandi del secolo passato e che difficilmente è imbrigliabile. Questo lavoro è ancora da fare perché si è lavorato con tempistiche diverse prima sulle foto, poi sui film e manca ancora molto da fare per quanto riguarda le registrazioni audio che andrebbero conservate, trascritte e digitalizzate. Per cui l’idea è anche che questo sia un primo tassello. Inoltre se il pubblico viene in sala e vede questi lavori ha voglia di vedere ancora di più e questo per noi è fondamentale perché si lavora non per noi, non per il gusto degli archivi o di celebrare e basta, ma proprio per consegnare qualcosa alla comunità, larga o piccola, in cui viviamo.

Hai scritto nel tuo libro su Fellini che la critica in passato ha faticato ad elogiarlo e che il pubblico lo conosce, ma spesso non ha visto i suoi film. La Cineteca di Bologna l’anno scorso ha proiettato in piazza Maggiore, con grande successo spettatoriale, il restauro di Amarcord e quest’anno si spera sia così anche per Roma decisamente più difficile da proporre ad un pubblico eterogeneo come quello di piazza Maggiore. Forse le cose stanno cambiando?

La carriera di Fellini è una carriera molto varia, ha cercato di cambiare stili e forme. In realtà, come tutti i grandi registi che sono davvero pochissimi e lui è fra questi, di base ha quasi sempre fatto lo stesso film camuffandone l’aspetto esteriore. Questa è una cosa che hanno capito ovviamente solo i critici più attenti. Quindi diciamo che il suo vagabondare, il suo ingannare un po’ il pubblico, la critica cinematografica e in un qualche modo anche se stesso – era una persona che si interrogava molto anche sulla creazione, sui suoi modi attraverso notevoli percorsi psicanalitici – ha creato una letteratura varia e non univoca sui suoi film.

È giusto considerare come capolavori alcuni dei suoi film, non tutti, ce ne sono alcuni che sono tra i migliori film della Storia del Cinema da 8½ a La dolce vita a Amarcord, però quello che sta avvenendo è un recupero perché negli anni ogni opera è stata ricontestualizzata, anche proprio per merito dei documenti di cui parlavamo prima. Ogni opera è stata ricollocata in un determinato periodo storico e in un certo momento della sua produzione. Fellini è anche uno dei registi di cui si è scritto di più al mondo, per cui c’è solo l’imbarazzo della scelta per trovare un titolo efficace o un autore efficace per interpretarlo più o meno correttamente. Non penso che si possa parlare di un “ritorno” perché Fellini è Fellini e se lo mostri il pubblico risponde sempre, ovvio che ci sono sempre alcuni film iconici che rappresentano Il Cinema e altri che hanno una vita più complicata. Sfido oggi un pubblico vasto a vedere Fellini Satyricon che è un film molto complesso, richiede una certa preparazione che peraltro è cruciale in un determinato passaggio della sua produzione.

Questi film andrebbero mostrati comunque perché è anche una forma di educazione verso lo spettatore e quello che fa la Cineteca di Bologna ed anche Cinemazero a volte è rischiare. Sono film che anche provocatoriamente vanno mostrati in contesti magari considerati non adatti come la grande piazza dove poi però anche il pubblico dimostra interesse. Il pubblico infatti non è stupido e il “ma non capirebbero” è una cosa che spesso ci si dice, ma più si mostrano cose anche discutibili, provocatorie e soprattutto qualitativamente eccellenti più il pubblico ha voglia di vedere.

Intervista a cura di Carolina Caterina Minguzzi
Nell’ambito del corso di Alta Formazione per redattore multimediale e crossmediale, nel progetto di formazione della Cineteca di Bologna.