Questione di sguardi: Musidora e Gabin, le icone “pop” del Cinema Ritrovato
22 giugno 2019. In una rovente Bologna si apre la XXXIII edizione del Cinema Ritrovato, con migliaia di cinefili pronti ad assaltare le sale del centro città. Camminano a passo spedito cercando riparo dall’arsura sotto i portici e brandendo ai fianchi una shopper di tela nera. Su quelle borse – che macinano instancabilmente decine e decine di chilometri tutti i giorni – c’è lei, Musidora. Pelle candida, grandi occhi bistrati di nero, ciglia chilometriche, labbra rosse, caschetto (o “bob” per i più aggiornati) corvino. L’enigma di un volto del passato a cui basta uno schiocco di dita per tornare a deliziare il grande pubblico.
All’anagrafe Jeanne Roques, Musidora nasce nel 1889 a Parigi e nell’arco dei suoi sessantotto anni di vita dipinge, danza, scolpisce, scrive, dirige ma soprattutto recita. Cambia identità, nel 1915 indossa per il regista francese Louis Feuillade i conturbanti panni di Irma Vep, leggendaria femme fatale dagli istinti vampireschi fasciata in seta nera. Sensuale e misteriosa, vestita e nuda allo stesso tempo, le forme esaltate dalla tuta aderente e un lato oscuro da nutrire: questa è l’essenza di Musidora. I surrealisti la amano, il pubblico la idolatra.
Non tramonta mai del tutto, un personaggio come Musidora. Perché nella potenza della sua immagine rivivono le dive della contemporaneità. Ed ecco che compaiono la vampissima Morticia Addams di Angelica Huston, l’irriconoscibile Madonna in versione gotica per Frozen; e ancora l’ormai ex vampira dall’animo androgino-grunge Kristen Stewart e la newbie del pop Billie Eilish, che con Musidora condivide lo sguardo tenebroso e magnetico da bambolina tormentata.
E poi c’è il nostro lui, la controparte maschile. Jean Gabin dagli occhi azzurri.
Gli stessi occhi che fanno capitolare ai suoi piedi la divina Marlene Dietrich, con la quale il re del cinema francese condivide il Manifesto del Cinema Ritrovato, in un fotogramma tratto dal film Turbine d’amore del 1946. Come Musidora Gabin è un maestro nell’arte della seduzione, che sprigiona esercitando un fascino ruvido e vissuto.
Maglione alto, basco in testa e bicicletta alla mano, al servizio di registi come Jean Renoir e Marcel Carné l’attore diviene l’emblema del realismo poetico francese degli anni trenta, impersonando l’uomo rude e oppresso da un inesorabile destino.
Ne 1940 vola ad Hollywood per sfuggire all’occupazione tedesca della Francia, e poi torna in Europa, dove i capelli precocemente imbiancati lo spingono verso ruoli più maturi.
Ma la sua è una bellezza senza tempo, che neanche la trasformazione nell’imbolsito e assai burbero Commissario Maigret può scalfire, ormai impressa come un marchio indelebile nell’immaginario comune. Con il suo stile conquista le masse, e ispira la generazione successiva di attori, nomi del calibro di Humphrey Bogart e Alain Delon.
Qualunque personaggio scelga di interpretare – che sia il banchiere, l’armatore, l’industriale o il medico – Gabin non abbandona mai il suo caratteristico allure da divo che, altro parallelismo con Musidora, cambia pelle spesso e volentieri. E negli sguardi intensi e ubiqui di questi due personaggi è racchiusa l’iconicità del loro essere star, così istrionici e prorompenti da appassionare il pubblico ora come allora. O forse un po’ di più.
Di Michele Persici e Carolina Martin
Nell’ambito del corso di Alta Formazione per redattore multimediale e crossmediale, nel progetto di formazione della Cineteca di Bologna.