Lo sguardo femminile: le registe del Cinema Ritrovato
Doppio appuntamento ‘al femminile’ stasera in Piazza Maggiore: Alice Rohrwacher presenterà in anteprima italiana il suo nuovo cortometraggio Le pupille, seguito dal restauro di Korotkie vstreči (Brevi Incontri), opera d’esordio della regista moldava naturalizzata ucraina Kira Muratova. Ma Rohrwacher e Muratova sono solo due delle cineaste che illuminano con il loro sguardo unico questa edizione del festival.
Tra le autrici dei film in programma c’è Agnés Varda, per esempio, di cui abbiamo già visto e rivedremo due brevi documentari, Christmas Carole (Francia/1965) e l’intervista fatta a Pasolini per le strade di New York nel 1967 – di cui alcuni di voi potrebbero aver già apprezzato la versione ‘breve’ che è possibile vedere alla mostra Folgorazioni Figurative.
La regista e attrice Ana Maria Magalhäes con il suo Já que ninguém me tira para dançar (Brasile/2021) recupera il ruolo svolto nella cultura moderna da Leila Diniz (che Magalhäes conosceva personalmente), artista che si batté per la libertà delle donne negli anni più duri della dittatura militare brasiliana. Autentica e spontanea, Leila Diniz fu la portavoce di una generazione censurata. Conquistò cuori e menti nel segno dell’amore e allo stesso tempo si attirò l’ostilità dei difensori della morale e dei conservatori, soprattutto dopo aver posato incinta di otto mesi in bikini per una rivista. Leila parlava apertamente di tutto, compresa la sua sessualità. Come le ribelli Janis Joplin e Amy Winehouse, Leila Diniz morì a soli ventisette anni, in un incidente aereo in India mentre tornava da un festival del cinema in Australia, dove era stata premiata come migliore attrice.
Mitra Farahani in Á Vendredi, Robinson mette in scena un dialogo a distanza tra Ebrahim Golestan, un gigante del cinema e della letteratura iraniana e Jean-Luc Godard. «Farahani, tra i documentaristi iraniani di maggior talento, riesce a mediare tra due mondi in apparenza inconciliabili creando un’opera epistolare unica. Il suo stile elegante e ibrido ci porta dall’incontro con semplici ombre – così ci appaiono i due artisti la prima volta che li vediamo – alle vite interiori di individui in carne e ossa, vulnerabili, sofferenti, premurosi, in perenne ricerca.» Ehsan Koshbakht
Nella sezione Ritrovati e Restaurati potremo apprezzare Avskedet (Svezia-Finlandia/1982). «Realizzato interamente da donne (scritto da Eija-Elina Bergholm e Vivica Bandler e diretto da Tuija-Maija Niskanen), questo film drammatico sull’autonomia femminile si svolge nella repressiva casa di una famiglia finno-svedese dell’alta borghesia di Helsinki alla vigilia della Seconda guerra mondiale. […] La capacità di Niskanen di osservare e percepire il non detto conferisce al film una rara intensità visiva. […] La regista Tuija-Maija Niskanen (1943-2019) iniziò la sua carriera all’YLE, l’ente radiotelevisivo finlandese, alla fine degli anni Sessanta come regista di film per la Tv. Dopo il notevole lungometraggio d’esordio Avskedet, Niskanen girò anche Suuri illusioni (Grande illusione, 1985) per il cinema, dopodiché continuò a lavorare per la televisione.» (Kajsa Hedström)
Nella stessa sezione, sarà possibile vedere in sala il recente restauro di uno dei rari film muti prodotti in India giunti fino ai nostri giorni, Béhula (Francia-India/1921) di Camille Legrande. «Operatore Pathé dal 1905 al 1920, Legrand conosce bene l’India, avendovi soggiornato a lungo più volte. Nel 1921 avvia una collaborazione con J.F. Madan, per il quale realizza a Calcutta almeno cinque film. Per Béhula, tratto da una leggenda bengalese narrata nel Manasa mangala, il ciclo epico dedicato alla dea dei serpenti Manasa, Legrand si avvale di una delle star anglo-indiane degli studios Madan, Patience Cooper. […] Portato in Francia da Legrand, il negativo è miracolosamente sopravvissuto in un eccellente stato di conservazione nelle collezioni della Fondation Jérôme Seydoux-Pathé depositate al CNC.» (Pénélope Riboud-Seydoux)
In Cinemalibero torna Sara Gomez, di cui l’anno scorso avevamo visto De Cierta Manera e Una Isla para Miguel, con il cortometraggio Iré a Santiago. «Sara Gómez è stata la prima regista donna a Cuba e ha realizzato diciannove documentari che offrono ritratti unici, intimi e curiosi di coloro che la storia potrebbe dimenticare: donne, persone con discendenza africana, i giovani e i molto anziani. […] Iré a Santiago è uno dei suoi primi film, nel quale ritrae la città di Santiago de Cuba con lo stile estremamente energico e giocoso del cinema diretto, collegando gli abitanti e gli spazi di questa città, che sorge nella parte orientale dell’isola, a un passato di schiavitù e di resistenza attraverso un’interazione dinamica musica, danza e vita quotidiana.» (Susan Lord)
Potremo vedere Iré a Santiago in combinazione con Učiteli di Nevena Toševa. Toševa «aveva inizialmente scelto la carriera di insegnante, ma abbandonò la professione dopo solo due anni. Le circostanze la portarono agli Short Films Studios di Sofia, dove iniziò come montatrice per poi passare alla regia. Continuò però a interessarsi all’insegnamento. Tra i suoi film sulla scuola il più audace è Učiteli. Indagine perfettamente equilibrata che mostra sia i lati gratificanti, sia quelli deprimenti del lavoro in classe, Učiteli solleva questioni quali la miopia delle prassi amministrative e l’indottrinamento sistematico nelle scuole superiori. Il film sembra porsi in dialogo diretto con Diario di un maestro di Vittorio De Seta [..] Nella sua autobiografia Toševa inserisce estratti della discussione critica su Učiteli che precedette la distribuzione molto limitata del film. Nelle rare proiezioni pubbliche la regista fu criticata dagli spettatori: volevano che la professione dell’insegnante fosse mostrata sotto una luce più romantica.» Dina Iordanova
Gran parte della sezione dedicata i formati di proiezione inusuali sarà dedicata a un singolarissimo archivio cinematografico che ha sede all’Università di Paderborn. «Creato agli inizi degli anni Duemila da Annette Brauerhoch, raccoglie esclusivamente le opere di cineaste sperimentali provenienti dall’area germanofona. Qui presentiamo una selezione di film realizzati tra gli anni Sessanta e i Duemila. La combinazione di tre programmi offrirà l’occasione di scoprire film underground e sperimentali dell’area di lingua tedesca che in alcuni casi sono passati inosservati nel loro paese di produzione. Filmmaker come Ute Aurand, Christine Noll Brinckmann, Elfi Mikesch, Pola Reuth e molte altre si sono battute contro l’immaginario conservatore e reazionario della produzione cinematografica tradizionale. La loro missione era attaccare la rappresentazione stereotipata dei ruoli di genere nel cinema mainstream e ampliare la visione dominante della sessualità e dell’estetica femminile.» (Karl Wratschko e Mariann Lewinsky)
Un’altra proposta di quest’anno è direttamente collegata a queste dinamiche. È la presentazione del restauro del film queer punk sperimentale austriaco Rote Ohren fetzen durch Asche (Flaming Ears), realizzato nel 1991 in formato Super8 da Ursula Pürrer, Dietmar Schipek e Ashley Hans Scheirl (che quest’anno rappresenterà l’Austria alla Biennale di Venezia insieme a Jakob Lena Knebl). «Rote Ohren fetzen durch Asche è un film pop di fantascienza lesbica ambientato nel 2700 nell’immaginaria Asche, una città distrutta da un incendio. Il film segue le vite intrecciate di tre donne: Spy, autrice di fumetti; Volley, artista performativa e sessuomane incendiaria; e Nun, aliena immorale con una predilezione per i rettili. È una storia d’amore e di vendetta e un appello antiromantico all’amore nelle sue tante forme. È anche una storia intrisa di sesso, violenza e una pulsante colonna sonora: un film cyberlesbico che stimola il corpo e il cervello.» (Karola Gramann)