‘La passione di Anna Magnani’
“Anna Magnani, lei ha la reputazione di essere determinata, risoluta, ma anche di essere un’autentica anti-conformista: la chiamano ‘l’Uragano Magnani’. Direbbe che la gente ha paura di lei?” Il volto deformato di Anna Magnani, così come si riflette in un piccolo specchio adibito al trucco, sembra osservare la giornalista con un misto di stanchezza e cinismo. Uno scatto e poi la sentenza: “A volte si morde per la paura di essere attaccati”. Forse non esiste frase più appropriata a descrivere la tristezza e la furia per le quali l’attrice è diventata famosa in tutto il mondo. La romanità impetuosa e la femminilità al contempo fragile e perentoria di Anna Magnani, nella vita come sul set, restano uniche, indimenticabili, scolpite per sempre nel nostro immaginario.
Presentato in occasione dell’ultima edizione del festival di Cannes e oggi finalmente approdato al Cinema Ritrovato, La passione di Anna Magnani è l’opera di Enrico Cerasuolo, una vera e propria lettera d’amore alla donna, prima che all’attrice, volto tragico, fiero e beffardo del cinema italiano. Tramite la dedica delicata scandita dallo stesso regista – “Cara Anna…” – si racconta un lavoro di archivio e di coinvolgimento familiare importantissimo: “Ci abbiamo messo due anni circa. Nel 2011 avevo realizzato un film sulla storia d’Italia, in occasione dei centocinquant’anni dell’unità nazionale, e fin dall’inizio la scena della morte di Pina in Roma città aperta era al centro di quel film. Mi ha sempre dato i brividi, nonostante l’abbia vista un centinaio di volte”.
La ricerca sfocia in un ritratto realizzato camminando costantemente in punta di piedi, con cura estrema e una devozione senza eguali.
“Il lavoro è stato lungo e sono molto contento che se ne percepisca l’intimità perché era proprio il mio obiettivo. A parte leggere le biografie, mi sono concesso una sorta di retrospettiva: ho guardato tutti i film che potevo in ordine cronologico, mettendo via le scene che oltre a darmi più emozioni mi offrivano delle possibilità di intersezione interessanti nella sua vita come persona. È stato molto importante il lavoro sugli archivi, grazie anche all’aiuto dell’Istituto Luce, della Rai. Fondamentale l’aiuto di Luca, suo figlio: con la sua partecipazione abbiamo avuto la possibilità di passare delle giornate in casa di Anna, nei suoi archivi”.
È proprio questo approccio che permetterà di scovare materiale inedito, di una bellezza e di un’importanza sconvolgenti. L’ordine di questi preziosissimi documenti scandisce la coerenza del racconto e la necessità di comporre non un semplice documentario, ma un autentico e sincero tributo. L’infanzia e l’abbandono, la giovinezza sotto il fascismo, gli amori e la gravidanza, la relazione tormentata con Rossellini, l’Oscar per La rosa tatuata e la conseguente stereotipizzazione hollywoodiana: la storia della Magnani viene certamente narrata con dovizia di particolari, ma a colpire lo spettatore non sono i gossip, non sono gli aneddoti, bensì la passione, intesa come tumulto, la tensione e il tormento che fuoriesce da ogni parola pronunciata da lei e dalle persone che le sono state più vicine in vita. Le parole di Visconti, di Paolo Stoppa e di Jean Renoir, una rarissima intervista concessa a Oriana Fallaci e, soprattutto, il ritratto più dolce e feroce, quello del figlio Luca.
Attirando la presenza in sala della grande Cecilia Mangini, il lavoro meticoloso di Enrico Cerasuolo, prodotto con la complicità di Massimo Arvat, guadagna cinque minuti di applausi scroscianti – e non potrebbe essere altrimenti. Anna Magnani vive ancora: non tanto nel ricordo pulsante del racconto, ma nel riconoscimento ardente di una platea commossa che si inchina, oggi come ieri, all’umanità disarmante di un’autentica forza della natura.
Alessandro Criscitiello
Nell’ambito del corso di Alta Formazione per redattore multimediale e crossmediale, nel progetto di formazione della Cineteca di Bologna.