16/06/2024

Dark Heimat

Schwarzwaldmädel (1950) e Grün ist die Heide (1951) di Hans Deppe sono solitamente considerati gli inizi di quell’Heimatfilm così in voga nei primi anni della Repubblica Federale Tedesca. Per certi versi è comprensibile: Schwarzwaldmädel fu uno dei primi grandi successi commerciali di produzione locale, nonché il primo lungometraggio a colori realizzato nella RFT. L’Heimatfilm dominò le cinematografie di Germania Ovest e Austria per cinque o sei anni prima di esaurirsi e mutare in altri generi – il primo piano, potremmo dire, divenne uno sfondo. Nel suo periodo di massimo splendore e per molto tempo dopo, il genere fu denigrato dalla critica come paradigma di un intrattenimento stupido e con un fondo profondamente reazionario. Solo di recente questa visione ha iniziato a cambiare, seppur lentamente: l’Heimatfilm è senza dubbio un tema più complicato di quanto la storia tradizionale del cinema voglia farci credere. Al di fuori del mondo germanofono l’Heimatfilm è scarsamente conosciuto, poiché, a differenza di altri generi prodotti in Germania Ovest e in Austria, si rivelò difficile da esportare. Queste osservazioni generali sono essenziali per inquadrare la rassegna, che raccoglie un corpus di film raramente trattati nelle storie del cinema dei due paesi: opere realizzate un po’ prima e parallelamente agli inizi dell’ondata di Heimatfilm, per lo più ambientate negli stessi paesaggi alpini ma completamente diverse per tono e atteggiamento rispetto al cinema nato dalla sapienza artigianale e dalle capacità commerciali di Deppe. Se Schwarzwaldmädel è animato dall’ottimismo di una giovane nazione in ascesa economica, un film come l’‘Heimat horror’ Die seltsame Geschichte des Brandner Kaspar (1949) di Josef von Báky esprime una profonda paura del futuro, mentre Die Martinsklause (1951) di Richard Häussler, bell’esempio di ‘heritage film’ interpretato in chiave noir, affronta il tema della migrazione e dei rifugiati con tinte molto più cupe, per esempio, rispetto a Grün ist die Heide. Un titolo particolarmente interessante è Bergkristall (1949), film d’esordio di Harald Reinl, le cui sperimentazioni con elementi di realismo documentario sono state raramente percorse da altri registi. In Austria Karl Kurzmayer e Wilfried Fraß offrirono sorprendenti lampi espressionisti nella loro unica regia a quattro mani, Die Sonnhofbäuerin (1948), un film semi-indipendente realizzato lontano dal centro della produzione cinematografica locale, mentre in Die Frau am Weg (1948) Eduard von Borsody si espresse sulle colpe collettive dell’Austria con affermazioni che sarebbero rimaste tabù ancora per molto tempo.

A cura di Olaf Möller

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