25/05/2017

Aspettando Il Cinema Ritrovato: Registi ritrovati

Tra i tanti fili che compongono il tessuto segreto del Cinema Ritrovato, quest’anno ha rilievo la presenza, in molte sezioni, di cineasti in modi diversi ‘sconosciuti’. Ciascuno ha la sua storia, e su alcuni pesa l’ombra del tempo, su altri la censura geografica, su altri ancora snodi e incidenti della storia che hanno impedito di conoscere la vera fisionomia della loro opera. È una mappa piena di echi e di sorprese, da percorrere mettendosi sulle tracce di ciò che più muove la nostra curiosità.

Una sorpresa sarà per molti scoprire un regista italiano che si chiama Augusto Genina, che ha il suo spazio nelle storie del cinema (anche se in fin dei conti su di lui s’è scritto molto poco…), una firma influente e prestigiosa negli anni tra i Venti e i Cinquanta, l’italiano che diresse la diva Lou ise Brooks in Prix de beauté, che con Addio giovinezza mise il suggello a una versione crepuscolare (e classista) della commedia romantica, che con Cielo sulla palude trasformò la vicenda di Maria Goretti in mitologia cattolica, e che poi è di fatto scomparso dalla programmazione, dalla memoria diffusa, e anche dalla cinefilia.
Una rassegna quindi che vuol segnare un recupero; come quella dedicata al regista americano William K. Howard, una carriera tempestosa, un numero singolarmente alto di film perduti, un solo titolo, The Power and the Glory, ricordato (l’abbiamo mostrato alcuni anni fa e lo riproponiamo) perché chiaro antecedente di Citizen Kane, e poi una specie di buio critico da cui facciamo riemergere una strabiliante manciata di film dei primi anni Trenta, gemme di stile realizzate in collaborazione con il fotografo James Wong Howe.
Sorprese dello stile sono quelle che riserva il regista iraniano Samuel Khachikian, una filmografia ignota allo spettatore occidentale, ma un talento che fondando nella Persia degli anni Cinquanta un sistema di generi (con speciale predilezione per il noir e l’horror), fornì di fatto l’impalcatura a un cinema che quasi non esisteva; così come i film del mauritano Med Hondo, tre titoli all’interno della sezione World Cinema Project, rappresentano la nascita (cinematografica) d’una nazione, tra passione autobiografica e reinvenzione ‘rivoluzionaria’ dei generi…
Infine, Jean Vigo. Tutt’altro che sconosciuto, regista di soli quattro sfolgoranti film, regista di culto, venerato, amato, iconico, rivisitato (Jean Dasté che si tuffa nella Senna, la voce-sirena di Patti Smith che lo accompagna). Però solo quest’anno vedremo L’Atalante come veramente Vigo lo volle, “nella sua purezza originaria”, e anche tutti i meravigliosi materiali mai visti che invece, in nome di quella purezza, non volle inserire. E se poi ci fosse anche un ‘altro’ Zero in condotta, ancor più anarchico, ancor più enfants sauvages?