Intervista a Madeleine Bernstorff, curatrice del programma ‘La donna con la Kinamo: Ella Bergmann-Michel’
L’edizione 2018 del Cinema Ritrovato ha ospitato molte sezioni dedicate alla riscoperta di cineaste donne. Tra queste c’è La donna con la Kinamo, sezione dedicata a Ella Bergmann-Michel, pioniera del documentario progressista tedesco degli anni Trenta. Artista visiva e fotografa che si cimenta con una macchina da presa Kinamo, Bergmann-Michel ha lasciato una serie di testimonianze sulla vita quotidiana e sul clima che si respirava a Francoforte negli ultimi anni della Repubblica di Weimar. Le pellicole sono state restaurate tra il 2005 e il 2006 dal Deutsches Filminstitut di Francoforte, dopo una lunga opera di ricerca dei materiali dispersi. Abbiamo intervistato Madeleine Bernstorff, la curatrice del programma.
Chi era Ella Bergmann-Michel?
Bergmann-Michel nacque nel 1895 in una cittadina molto cattolica della provincia tedesca. Conobbe il marito mentre frequentava la scuola d’arte; in seguito, la coppia si trasferì vicino a Francoforte, dove Ella si dedicò alla fotografia e al collage, affermandosi come artista visiva. La coppia militava in un gruppo di modernisti molto interessati a tematiche sociali come l’edilizia pubblica e le mense popolari. Tra le attività del gruppo c’era la produzione di una rivista e l’organizzazione di rassegne cinematografiche (invitarono anche Dziga Vertov). In quel contesto, il passaggio alla cinepresa fu per lei molto naturale.
Qual era il suo approccio al documentario?
Bergmann-Michel girò i suoi lavori nel primo dopoguerra. Nei documentari, il background di attivista di sinistra è molto evidente. Inoltre trovo molto interessante seguire i suoi progressi tra un film e l’altro: è evidente che impara facendo, si vede uno stile personale che pian piano prende forma. Era molto interessata al movimento e alla luce. Ma la situazione in Germania stava peggiorando e la valenza politica del suo lavoro le attrasse le attenzioni della polizia. Nel novembre del 1932, poco prima delle ultime elezioni libere, venne arrestata mentre riprendeva una rissa fuori da un negozio nazista. Fu costretta ad abbandonare la Kinamo e da quel momento in poi dovette stare molto attenta. Lei e il marito pensarono perfino di emigrare, ma alla fine decisero di restare in Germania; si rifugiarono in campagna e si dedicarono alla vita contadina fino alla fine della guerra.
Tornò a girare dopo la caduta del Nazismo?
Purtroppo no; continuò a lavorare come artista, fece mostre in Germania e all’estero, ma non fece più film. Ma non abbandonò mai davvero il cinema: si dedicò all’organizzazione di cineforum, attività fondamentale a quel tempo, dato che tanti film erano stati proibiti durante l’epoca nazista.
Come ha scoperto la produzione cinematografica di Bergmann-Michel?
Era la fine degli anni ottanta. Ero a un festival di cortometraggi e venne proiettato Mein Herz Schlägt Blau – di Jutta Hercher e Maria Hemmleb, un documentario biografico su Bergmann-Michel arricchito da foto, spezzoni di film, collage e voci delle persone vicine all’artista, prodotto dall’Accademia di Belle Arti di Amburgo. All’epoca avevamo appena fondato un cineforum femminista. L’obiettivo era aprire un cinema femminista a Berlino, un’idea completamente utopica che purtroppo non si è mai realizzata. Decidemmo di includere Bergman-Michel nel programma del nostro primo evento: proiettammo alcuni suoi corti e la biografia di Hercher e Hemmleb.
Secondo lei qual è l’elemento più contemporaneo dell’opera di Bergmann-Michel?
Sicuramente l’utilizzo politico del documentario. Personalmente, sono molto interessata al rapporto tra film e attivismo e al cinema come medium estetico che ha la potenzialità di cambiare le cose. Nel 1968 scrissero “Prenez une camera et descendez dans la rue”, ed è proprio quello che Bergmann-Michel ha fatto.
Laura Girasole