Romy. Vita e Romanzo

A cura di Volker Schlöndorff
In collaborazione con Cinémathèque française

Un’immagine indelebile: Romy Schneider dietro le quinte del Théâtre Moderne di Parigi, prima di una doppia entrata in scena, da un lato come Nina nel Gabbiano, dall’altro come Romy davanti al pubblico francese. La vedo appoggiata a un’anta a battente, pallida, mentre sfida la paura del palcoscenico e mormora le sue battute con voce incolore. Louis Malle l’aveva definita “un soldatino”. Giustamente. Io ero l’assistente di Sacha Pitoëff, e l’abbiamo vista muovere i primi passi nel teatro diretta da Luchino Visconti in Peccato che sia una sgualdrina con Alain Delon. Nel sontuoso allestimento colpiva per la sua fragilità giovanile, la sua emotività e la sua semplicità quasi dilettantesca. È quindi stato a teatro che lei e io ci siamo conosciuti, due giovani tedeschi a Parigi, e abbiamo ovviamente legato. In seguito ci siamo spesso rivisti a Parigi in occasione di eventi cinematografici, e credo che rimpiangessimo entrambi di non aver mai lavorato insieme. Eppure c’è mancato poco: vent’anni dopo Bruno Ganz l’avrebbe voluta accanto a sé nell’Inganno, e se glielo avessi chiesto lei avrebbe sicuramente accettato. Ma durante i sopralluoghi in Libano sono stato messo seriamente in guardia da Régis Wargnier, che all’epoca era ancora mio assistente e aveva appena lavorato con lei in un film a Parigi: potevamo esporre Romy a simili condizioni di ripresa e al rischio permanente rappresentato da fazioni che si scontravano giorno e notte con armi pesanti? Per il suo ultimo film aveva avuto più di dieci persone al seguito. Non avremmo mai potuto portare tutta quella gente nella Beirut della guerra civile.
In seguito ho spesso pensato che quella città in rovina le avrebbe ricordato, come a me, le città tedesche del dopoguerra, e anche la frenesia di vivere tanto più intensamente. Durante gli anni Cinquanta Romy aveva vissuto, nella famiglia del patrigno un po’ ‘affarista’, la follia dei nuovi ricchi. Erano borghesi ‘kaputt’ a tutti gli effetti, rifiutavano ogni responsabilità, individuale o collettiva, per una guerra che aveva devastato l’Europa tutta e dalla quale erano usciti miracolosamente vivi. Vivi si fa per dire, perché nel periodo postbellico il paese era annientato e spezzato, e la gente si cullava nell’autocommiserazione e nel sentimentalismo, nella rimozione e nei falsi ideali. I loro rapporti umani erano vuoti, la loro personalità pura facciata; un mondo di apparenze del quale l’adolescente Romy aveva dovuto percepire la falsità ipocrita e volgare. Voltando le spalle all’attualità, l’infatuazione per il feudalesimo, vera ragione del successo di Sissi, faceva parte dello Zeitgeist del miracolo economico. Essere l’idolo di quella gente deve essere stato insopportabile per un’anima un po’ sensibile, ne sono testimone io che lasciai il paese a sedici anni. In Francia mi vergognavo di essere rappresentato da quell’imperatrice rétro che lì riscuoteva lo stesso successo che nel resto del mondo.
In seguito Romy ha sempre voluto tornare sull’argomento, dato che un terzo dei suoi film da adulta riguardano il periodo nazista. Non che avesse vissuto quegli anni, essendo allora solo una bambina, ma come tutti noi sentiva il peso di appartenere a una civiltà che era stata capace di tali crimini. Di qui anche il suo desiderio di assimilazione, la sua volontà di integrarsi il più possibile in Francia, fino a cancellare le proprie origini. Impresa destinata a fallire, ovviamente, e non a causa della lingua che padroneggiava alla perfezione: cosa tanto più notevole in quanto non aveva mai seguito un corso di studi regolare e soffriva di non aver conseguito la maturità. Per lei non era un complesso ma neanche qualcosa di cui andar fiera, e si aggiungeva alla macchia delle origini germaniche.
Dovette imparare a rivendicare con orgoglio anche la propria femminilità, e Visconti ebbe il merito di rivelarla come tale. Così sposò con coraggio tutte le cause, dal diritto all’aborto al femminismo in generale, spingendosi talvolta più in là nelle sue invettive e nelle sue confessioni di quanto fosse necessario. Un po’ teatrale lo sarà stata, senza imbarazzo poiché il teatro era per lei la cosa più nobile. Il film La Voleuse lo dimostra. È un film quasi dimenticato, a torto, eppure è quello che mostra Romy in tutta la sua complessità. Doveva passare di lì prima di trovare la delicata luminosità che il suo pubblico e i suoi registi hanno amato. Il film è prezioso anche perché riunisce per la prima volta Romy e Michel Piccoli, e c’è già tutta l’intensità del loro futuro rapporto. I film che abbiamo scelto attestano che i suoi ruoli sono stati segnati dalla sua vita quanto dalle sceneggiature; finzione e vissuto si informano a vicenda per realizzare il ritratto di una donna che non esita a esporsi a tutte le lacerazioni che la natura e la storia le impongono, anche se ciò significa far soffrire il suo corpo e la sua anima fino alla morte.
Ciò ha reso ancora più difficile la scelta dei film, e con Gian Luca Farinelli rimpiangiamo di non aver potuto inserire Gli amanti dell’isola, il magnifico primo film di Alain Cavalier con un Trintignant giovane come lei. Va menzionato il suo ultimo film, Fantasma d’amore di Dino Risi, interpretato da Mastroianni, dove Romy è radiosa in maniera quasi irreale e anche spaventosa nella decrepitezza del personaggio che fa presagire la sua. Con lo stesso coraggio aveva interpretato poco prima una donna enigmatica in Guardato a vista di Claude Miller accanto a un grande Lino Ventura. Ancora coraggio e volontà di spingersi al limite e oltre in L’importante è amare di Andrzej Żuławski. Perfino i melò più convenzionali come Un amore a Parigi, tra i suoi primissimi film, Una donna alla finestra di Pierre Granier-Deferre o lo straziante La signora è di passaggio di Jacques Rouffio meritano di essere visti per la sua presenza e per il tocco di vibrante umanità che dà a tutti i suoi personaggi. Romy rivelò senza riserve i suoi segreti più intimi nelle conversazioni con Syberberg quando era solo agli inizi della sua carriera, e anni dopo si lasciò andare con la stessa spietata frenesia nelle confessioni alla femminista Alice Schwarzer. I due documentari completano il ritratto che offrono di lei i film di finzione; e in ogni caso un film di finzione è spesso anche un documentario sugli attori. Nel caso di Romy comunque è innegabile: vita e finzione sono la stessa cosa.

Volker Schlöndorff