Questa è la mia vita: Anna Karina si racconta
Anna Karina è, senza ombra di dubbio, il volto iconico della Nouvelle Vague.
È arrivata ieri, a Bologna, per dialogare con con Frédéric Bonnaud della Cinémathèque française e con Gian Luca Farinelli, direttore della Cineteca di Bologna.
La ragazza danese che approda a Parigi, all’età di 17, è rimasta la stessa di un tempo. Timida, con la voce bassa e delicata, ha raccontato la sua vita. Vivre sa vie, per citare uno dei suoi film più famosi.
Hanna Karin Blarke Bayer, il suo vero nome. Un giorno una signora, con un largo cappello, la vede e le consiglia un nome d’arte: “Sarai Anna Karina”. Quella donna era Coco Chanel.
E così gli incontri, per azzardo o per coincidenza, sono tanti.
Viene notata da Jean-Luc Godard che la vede in una pubblicità della Palmolive e le propone il ruolo principale in Fino all’ultimo respiro.
“Lei si deve spogliare, mi disse. Ma questo signore è proprio matto, pensai. Non avevo capito cosa sarebbe successo.”
Godard lo incontrerà di nuovo, un anno dopo, e con lui girerà Le Petit Soldat.
“Ci siamo innamorati a Ginevra”, ha detto, ricordando le riprese del film durate tre mesi.
Un giorno lui le scrive un biglietto: La amo, appuntamento a Ginevra a mezzanotte al Cafè de la Paix.
Inizia, così, la loro storia d’amore e il loro sodalizio professionale.
“Godard scriveva i dialoghi man mano che girava. Li avevamo la mattina stessa delle riprese”
Lavorare con un genio della cinematografia non è facile, così come essere innamorata di lui.
“Deville mi propose un ruolo in una commedia, Ce soir ou jamais, ma Godard mi disse ‘No, non farlo!’ Poi lo trovò un film formidabile »
Farinelli le chiede, poi, di raccontare la famosa scena di Vivre sa vie mentre il personaggio da lei interpretato guarda in un cinema La passione di Giovanna d’Arco di Dreyer.
“Dreyer l’ho conosciuto grazie a suo figlio Eravamo in un cinema di St. Germaine, durante le riprese, e c’era anche Agnes Varda con noi. Dreyer era un uomo semplice, serio ma adorabile.”
Il sodalizio con Godard continua. Pierrot le fou vede la Karina recitare insieme a Jean Paul Belmondo, “lui e Godard non parlavano molto ma si capivano”.
“Scriveva il testo e bisognava imparare a memoria. L’unica volta che ho potuto decidere io cosa dire è stato sulla spiaggia, ripetevo tra me e me ‘Qu’est-ce que j’peux faire’, e lui mi disse ‘Puoi dire questo!'”
E i registi italiani con i quali ha lavorato? “Zurlini, Brusati, Greco, Visconti erano persone magnifiche.” Con quest’ultimo ha girato Lo straniero, ad Algeri, e pioveva sempre. “Visconti ha scritto la sceneggiatura in francese, voleva che fosse un omaggio a Camus.”
Arriva, poi, La religiosa di Rivette. “Un personaggio che vuole mantenere integrità, non si vende, è coerente. Rivette sapeva cosa voleva.”
E l’incontro con Fassbinder, con il quale recita in Roulette cinese. “Era un po’ strano. Mi ha lasciata sola, per due settimane, in Germania. Era andato al Festival di Cannes. Non sapevo una parola di tedesco e così comprai dei dizionari per imparare le frasi base per poter comunicare. Finalmente torna, col suo fidanzato dell’epoca, un macellaio. Tornando nella casa dove si girava il film investiamo un cervo. Loro lo caricano sulla macchina e lo portano a casa. Poi è arrivata la Polizia, informata da qualcuno, e si è portato via il cervo.”
Arriva, poi, l’America. La chiamano per girare un film, Justine, per la regia di Joseph Strick. Le prime settimane di ripresa sono un disastro e il regista viene licenziato: lei e gli altri attori del film, tra cui Anouk Aimée, Dirk Bogarde e Michael York rimangono bloccati a Los Angeles. Arriva poi il nuovo regista, è George Cukor. Appena la Karina sa la notizia inizia a piangere, per l’emozione e la felicità.
Cukor la guarda e le dice: “Non piangere ragazzina, vai a struccarti e ti porto a casa. Guidava una Rolls Royce. Siamo diventati grandi amici.”
Alla fine dell’incontro Farinelli ha detto “Amavamo molto Anna Karina, adesso l’amiamo ancora di più.”
E lo dimostrano i fan, giovani e meno giovani, che hanno assediato l’attrice per una foto o per ringraziarla dei suoi film. Lunghi applausi per lei e un sorriso, timido, quello della ragazzina che arrivò a Parigi e si trovò a diventare uno dei simboli della Nouvelle Vague.
Fabio Astone