28/06/2022

Quando l’attore è anche regista: ‘Dans la nuit’ e non solo

Dans la nuit

L’appuntamento di stasera in Piazza Maggiore (con cover set al Cinema Arlecchino in caso di pioggia) è con Dans la nuit (Francia/1929), uno degli ultimi capolavori del muto francese che sarà proposto con l’accompagnamento dal vivo di due dei membri del gruppo finlandese Cleaning Women. A dirigerlo fu Charles Vanel, qui alla sua prima e unica prova in regia. Vanel, infatti, di professione non era un regista, ma un attore – uno molto prolifico, tra l’altro. Il passaggio di un attore alla regia non è un fenomeno così strano, oggi, ma continua a essere piuttosto raro. Al Cinema Ritrovato, quest’anno, ne abbiamo anche altri esempi.

Restiamo un attimo su Dans la nuit. Prendiamo in prestito le parole del catalogo del festival: «Charles Vanel, attore in un centinaio di film (tra cui, per citarne solo due, lo straordinario Le Diable souffle di Edmond T. Gréville e l’acclamato Vite vendute di Henri-Georges Clouzot), passò dietro la macchina da presa quando era all’apice della sua popolarità di attore del muto. Era il 1929. Regista di un solo lungometraggio, con Dans la nuit firmò un film sconvolgente, sorprendente, in cui diede prova di un incredibile senso dell’inquadratura e del montaggio e di una folle modernità, e ricompose con Sandra Milowanoff la coppia già formata sullo schermo in La Flambée des rêves, Pêcheur d’Islande (entrambi di Jacques de Baroncelli, 1924) e La Proie du vent (René Clair, 1927). “Un dramma di atmosfera operaia”: così amava definire questa storia che rendeva omaggio a suo padre. All’uscita del film la critica lo elogiò: “Vanel ottiene di colpo l’intensità del grande dramma. Una folle sincerità si impadronisce delle immagini. Una convincente e dolorosa crudeltà. Finalmente qualcosa di potente. Il regista Vanel dice alla vita il fatto suo” (Michel Gorel, “La Revue du cinéma”, 1930). Ma l’epoca del muto era finita. Quando Dans la nuit arrivò sugli schermi, nel maggio 1930, regnava ormai il sonoro e il film fu ritirato dalle sale.»

Un’altro esordio alla regia (e un’altra prova unica) che documentiamo quest’anno al festival è quello di Peter Lorre con Der Verlorene (L’uomo perduto, Germania Ovest/1951), che abbiamo proposto domenica scorsa e che replicheremo il 3 luglio. «Per girare quello che sarebbe rimasto il suo unico film da regista», racconta Michael Omasta, «Peter Lorre fece ritorno in Germania vent’anni dopo M. Ambientato tra le macerie dell’Amburgo postbellica, Der Verlorene è stato correttamente descritto come una rara e affascinante miscela di espressionismo tedesco, noir americano e neorealismo italiano. […] Purtroppo tutto quello che poteva andare storto andò storto: le riprese furono funestate dalla morte improvvisa del produttore Arnold Pressburger, e durante la fase di post-produzione la versione originale andò distrutta in un incendio. Der Verlorene fu proiettato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia; gli spettatori tedeschi lo evitarono, mentre la critica tedesca lo decretò il film più artistico del 1951 assegnandogli un premio Bambi. Più di trent’anni dopo, il critico passato alla regia Harun Farocki concluse che “si stenta a identificare un altro film che abbia prefigurato il fascismo con la precisione di M, e un altro film che abbia rintracciato i resti del fascismo con la precisione di Der Verlorene”».

Più prolifico come regista (e anche molto più pittoresco), Erich Von Stroheim è al festival con due film: Foolish Wives (USA/1922, che abbiamo potuto ammirare ieri in Piazza Maggiore con accompagnamento dal vivo dell’Orchestra del Teatro Comunale) e con Blind Husbands (USA/1919, in programma l’1 luglio). «Primo film diretto da Erich von Stroheim per la Universal, Blind Husbands è anche l’unico che ‘Mr. Von’ riuscì a terminare senza interruzioni da parte dei produttori e dello studio. Ambientato sulle Alpi tirolesi, contrappone l’erotismo del Vecchio Mondo al distaccato razionalismo del matrimonio americano contemporaneo. Il film consacra Erich von Stroheim quale maestro della narrazione per immagini: il rapporto tra la coppia sposata e ‘l’altro uomo’ (Erich von Stroheim nel suo ruolo distintivo, quello dell’ufficiale aristocratico) si snoda quasi interamente attraverso primi piani allusivi e montaggi di sguardi.» (Janneke van Dalen, Michel Loebenstein)

Altro attore che fu anche prolifico regista, purtroppo scomparso pochi mesi fa, Sidney Poitier dirige Buck and the Preacher (distribuito in Italia con il suggestivo titolo Non predicare… spara!, lo rivedremo l’1 luglio in Sala Scorsese). «Il debutto alla regia di Poitier con Buck and the Preacher rimane una delle sue prove più efficaci. In origine Poitier doveva limitarsi a interpretare il protagonista, ma quando emersero ‘divergenze’ con il regista iniziale, che era bianco, Poitier diede retta ai consigli dell’amico e coprotagonista Harry Belafonte e assunse anche il ruolo di regista. […] Nonostante la fedeltà al genere western e ai suoi nobili propositi culturali, Buck and the Preacher faticò a trovare un pubblico. […] Forse i cowboy e i coloni neri erano ancora troppo distanti dalle immagini tradizionali degli afroamericani, e il senso di trionfo suggerito dal fermo-immagine che chiude il film – Buck, il Reverendo e Ruth che cavalcano verso il tramonto – era un concetto troppo estraneo al pubblico dell’epoca.» (Melvin Donaldson)

Nella sezione dedicata alle commedie musicali tedesche della Repubblica di Weimar, potremo apprezare una delle due prove di regia dell’attore Curt Bois, il cortometraggio Scherben bringen Glück (Germania/1932, programmato sabato 2 in combo con So ein Mädel vergisst man nicht di Fritz Kortner). «Contrariamente a molti suoi colleghi, Curt Bois, ex bambino prodigio e attore e comico versatile durante tutti gli anni Venti – prima di lasciare la Germania a una settimana dalla presa del potere da parte dei nazisti –, fu una presenza rara nel primo cinema sonoro. Apparve in soli tre film tra il 1931 e il 1932. Il migliore (tra quelli che si sono conservati) lo diresse lui. Scherben bringen Glück è una miniatura perfettamente calibrata dello slapstick: un genere con cui il cinema tedesco ha spesso difficoltà, ma che Bois gestisce splendidamente da entrambi i lati della macchina da presa.» (Lukas Foerster)

E poi, ovviamente, abbiamo Vittorio De Sica. Quest’anno potremo apprezzare al festival sia come attore (in coppia con Sophia Loren in Peccato che sia una canaglia e Pane, amore e) che come regista di Sciuscià (di cui vedremo il recentissimo restauro già presentato a Cannes Classic), di La ciociara, La riffa e Ieri, Oggi e Domani (sempre con la Loren).