LA RECENSIONE: ‘LA GALASSIA LUMIèRE. Sette parole chiave per il cinema che viene’
Durante i giorni della Mostra mercato dell’editoria cinematografica si tiene il ciclo di incontri Il Cinema Ritrovato All’Ambasciatori – Otto Libri Sotto le Stelle.
Presentazione di La Galassia Lumière. Sette parole chiave per il cinema che viene di Francesco Casetti (Bompiani, 2015). Insieme all’autore, interviene Giacomo Manzoli.
A seguire, ore 21.45, Piazza Maggiore, Rocco e i suoi fratelli (Italia/1960) di Luchino Visconti. Introduce Guido Lombardo.
Leggi di seguito la recensione del volume, a cura di Cesare Cioni.
“Il cinema è qualcosa che si configura di volta in volta, sulla spinta della situazione, di un bisogno, di un ricordo. E l’esperienza di cinema approfitta di tutte le possibili occasioni per rivivere.”
In quali condizioni versa il cinema oggi? Che cosa resta della sua identità – o, meglio ancora, dell’identità dell’“esperienza cinematografica” – in questo inizio di nuovo millennio, in cui la “convergenza” sembra aver generato un unico medium audiovisivo che scorre e si disperde attraverso una miriade di schermi, giganteschi o indossabili, presenti in ogni luogo e situazione? Come possiamo “riconoscere” – nel doppio senso di agnizione e di accettazione –quello che abbiamo sempre chiamato “cinema” oggi che la sua stella è “deflagrata” ed è esplosa in mille soli di ogni dimensione e colore dello spettro, a loro volta circondati da altri corpi celesti, in una “Galassia Lumière”?
Queste sono le domande che si pone Francesco Casetti in questo denso volume, che non vuole offrire risposte definitive quanto la possibilità di una cartografia che sorvoli i terreni già mappati e suggerisca percorsi per esplorare quelli ancora ignoti, lungo sette coordinate – definite, appunto, da “sette parole chiave per il cinema che viene”.
Ecco quindi che il cinema, attraverso la rilocazione si trasferisce in altri schermi, situazioni e modalità di fruizione, ma resta “cinema, nonostante tutto”; e nel rilocarsi si scinde in possibili reliquie e icone: frammenti del suo “corpo santo” perduto, o raffigurazioni simboliche del suo spirito.
Ciò è possibile perché il cinema è un dispositivo in costante trasformazione, insieme con e grazie al suo oggetto, in quello che richiamandosi all’agencement deleuziano delle sue componenti Casetti definisce un assemblage incessante, ma sempre coerente; e in grado di mantenere un’identità di fondo nonostante una continua espansione in nuove tecnologie, produzione dal basso, riappropriazioni, adattamenti e remake, e discorsi sociali.
Un cinema dell’ipertopia, non più limitato a uno spazio dedicato ma in grado di uscire dai luoghi a esso storicamente deputati per espandersi nelle piazze e insinuarsi in centri commerciali e nei musei, creando nuovi “spazi di visione”; e allo stesso tempo rimpicciolirsi per insediarsi nei nostri salotti o addirittura nelle nostre tasche. Display che a differenza degli schermi tradizionali non sono più semplicemente finestre, cornici o specchi su realtà, rappresentazioni o riflessi delle cose, ma superfici – anche tattili – che ci permettono di intercettare e manipolare flussi di informazioni nel tentativo di ricavarne un senso; rendendoci non più solo spettatori passivi, ma attori noi stessi di una performance cognitiva, emotiva, sociale, tecnologica, espressiva, testuale o sensoriale.
La vastità dei riferimenti e dei testi messi in gioco da Casetti è stupefacente, come pure la sua capacità di mantenere comunque le fila di un discorso in cui un saggio di Papini del 1907 e il Rocky Horror Picture Show, Paul Valéry e l’iPad possono essere citati, sempre a proposito, a poche pagine se non a poche righe di distanza. Un vertiginoso ma affascinate “viaggio stellare”attraverso la Galassia Lumiére che riesce pienamente nell’intento dichiarato di far sorgere più domande di quelle a cui possa suggerire risposte: perché anche queste ultime sono sempre spunti per ulteriori questioni.
Rientrato sulla Terra, è comunque evidente che Casetti nutre fiducia nel futuro. Non solo perché esiste un fenomeno di re-rilocazione che nonostante tutto spinge sempre più spettatori a vivere l’esperienza della sala cinematografica; e perché con Benjamin conviene che il cinema, come ogni arte e forse più delle altre, è in grado di utilizzare il presente per illuminare il passato, e viceversa, unendo l’uno e l’altro in una sola “costellazione”.
Ma soprattutto per l’evidenza che l”esperienza cinematografica” persiste: e che di fronte al “senso di morte”, per cui “la permanenza del cinema non è altro che un estenuante differimento della fine”, la sua capacità di rilocarsi, reinventarsi, trasformarsi è segno della vitalità di un oggetto che proprio perché sempre diverso scopre sempre più su se stesso, e resta affascinante da gustare, studiare, esplorare.