Tutte le stelle del Festival
“We didn’t need dialogue. We had faces”, diceva Gloria Swanson in Viale del tramonto, allora sì (gli attori, le attrici) avevano facce, e naturalmente la vecchia diva tradita dal tempo pensava alle grandi facce del cinema muto, sempre circonfuse d’una mistica luce originaria: una tra tutte, o forse più di tutte, Louise Brooks, che quest’anno ritroviamo in Prix de beauté, il suo dramma moderno alle soglie del sonoro. O Ivan Mozžuchin, primo grande divo del cinema russo che vedremo nel ruolo di se stesso in uno quei frammenti ‘ritrovati’ (Kulisy ėkrana) che sono la gioia dei palati più cinefili e, qualche anno più tardi, a interpretare Kean e Casanova nei due film firmati da Aleksandr Volkov; e poi Lyda Borelli, emblema di una femminilità liberty e dannunziana, che trovò nel ruolo dell’allucinata ed esangue Marina di Malombra l’ultimo grande sussulto di una folgorante quanto breve carriera; o la leggendaria Maria Orska, regina del palcoscenico, eccentrica beniamina degli ambienti artistici viennesi, musa di Kokoschka: avremo la rara opportunità di seguirla sul grande schermo mentre si inoltra nei bassifondi di un’espressionistica Berlino in Die Schwarze Loo di Max Mack. E che dire di Buster Keaton, faccia sì scolpita nella pietra, ma da una mano d’infinita dolcezza (soprattutto quando, come in Neighbors, gli capita di fare il tenero innamorato).
Ogni spettatore, e soprattutto ogni spettatore del Cinema Ritrovato, sa invece che ogni stagione del cinema ha avuto le sue facce e i suoi corpi adorabili, mentre cambiavano l’idea di aura, di fotogenia, di carisma, di carattere; e potrà capitargli di restare colpito al cuore anche da un volto tra la folla di uno dei tanti documentari (e non solo, troppo facile!, se il documentario si chiama Becoming Cary Grant, e ci ammette a certi rivelatori home movies del “miglior attore della storia del cinema”); o magari si sentirà chiamato da occhi che lo scrutano, incredibilmente vicini, da un esotico travelogue del 1897, quando gli operatori Lumière percorrevano il mondo intero. Ma se divismo vogliamo, divismo avremo, a cominciare dal magico incontro tra Marilyn Monroe e Robert Mitchum nella Magnifica preda: la più morbida delle donne, il più poderoso degli uomini, tra le rapide del loro fiume senza ritorno (geografico e sentimentale), vincono le loro sfide segrete, si conquistano il loro diritto alla felicità sullo sfondo d’un Eden in Cinemascope: e sono tutti e tre, lei, lui e il paesaggio, una gioiosa celebrazione della natura americana. (A Mitchum è dedicata una ricca personale, oltre all’imperdibile documentario di Bruce Weber). E se Marilyn è stata dall’inizio alla tragica fine sempre se stessa, quel sorriso, quel corpo, quel biondo dei capelli, sarà interessante il confronto con un un’altra grande attrice, Joan Crawford, di cui seguire, tra il woman’s film Mildred Pierce e il western metafisico Johnny Guitar, la fenomenale evoluzione – da bellezza femminile e palpitante maternità a maschera totemica scavata nel rimpianto e nella vendetta.
La seconda parte dell’omaggio avviato nel 2016 e dedicato alla Universal di Laemmle Jr. sarà invece l’occasione per scoprire o riscoprire magnifici interpreti come Edward G. Robinson che in Outside the Low di Browning mette a punto l’iconografia del perfetto gangster dell’America del Proibizionismo, al fianco di Mary Nolan, diva ‘maledetta’ dal triste destino che vedremo anche in Young Desire di Lewis B. Collins; ma soprattutto Margaret Sullavan, luminosa stella Universal, che con la sua magnetica interpretazione in Little Man, What Now inaugurò il fertile sodalizio artistico con Frank Borzage. A ben altra America, a ben altra stagione del cinema e del divismo appartiene Dennis Hopper, figura eccentrica e anticonformista, simbolo di ribellione contro il mainstream hollywoodiano: rivivremo il suo personalissimo viaggio nel cinema con il documentario Along for the Ride.