Documenti e documentari

A cura di Gian Luca Farinelli

Ogni anno vedere i tanti nuovi documentari proposti è per me un privilegio, perché sono un’importante fonte di scoperte ed emozioni. Realizzare un film è un’impresa difficile, che richiede mesi, anni di lavoro, ma i film sul cinema richiedono un ulteriore talento, l’umiltà, per mettersi a disposizione di un altro regista, un altro artista, per raccontarlo, farlo conoscere nella sua unicità. I documentari sul cinema sono atti d’amore molto particolari, perché l’amante mette tutta la sua energia affinché l’amato sia conosciuto e compreso.
I confini del documentario – quest’anno nella sezione Cento anni fa mostriamo il capostipite del documentario d’autore, Nanook of the North di Flaherty – sono, oggi come ieri, estremamente labili e questa sezione non si sottrae agli scavalcamenti di confine, accogliendo anche un film realizzato da un grande fotografo, Bruce Weber, su un altro grande fotografo recentemente ‘ritrovato’, Paolo Di Paolo, o i due miracolosi corti ritrovati di Agnès Varda, maestra dei tradimenti tra documentari e finzione. Tre temi attraversano la sezione che, forse mai come quest’anno, affronta l’essenza stessa del cinema: il linguaggio, la creazione, il riuso degli archivi.
Linguaggio. A Cannes nel 1982 Wenders invita amici e colleghi a riflettere, nella sua stanza d’hotel, sul presente e sul futuro del cinema. È un documento eccezionale, un punto zero per capire anche dove siamo e cos’è successo in questi quarant’anni. Gideon Bachmann gira nel 1978 un documentario sul cinema politico a Roma, quando i registi sono alla ricerca di una lingua nuova, che sia anche strumento di lotta (da cui il titolo folgorante, la frase di Bernardo Bertolucci in apertura del film, La cinepresa non è una bomba molotov). Mitra Farahani ha completato dopo sette anni À vendredi, Robinson, dialogo/non dialogo tra due maestri della sperimentazione visuale, il quasi centenario Golestan e il novantunenne Godard, in quella che è forse la più bella riflessione recente sul cinema. I due Robinson, sopravvissuti alla morte del cinema e alla scelta di non parlar(si), sono inquadrati da una giovane cineasta che sa metterli in relazione, usando i linguaggi che proprio loro ci hanno insegnato.
Creazione. Buñuel, Tati, Muybridge: tre opere personali su tre autori assoluti, tre sguardi irripetibili e necessari. Montand, Chevalier e Leila Diniz: tre vite straordinarie di attori-cantanti che con le loro interpretazioni hanno rappresentato una società e un tempo, e la cui vitalità e talento arrivano intatti a noi oggi.
Gloria agli archivi. Tre film unici testimoniano la ricchezza consegnataci dal Novecento e la possibilità di realizzare, con immagini d’archivio, opere nuove e diverse. Peter Jackson con Get Back ci porta, come mai nessuno prima, nella grandezza dei Beatles, al termine della loro traiettoria creativa: Bill Morrison riusa magistralmente in Her Violet Kiss il frammento di un film perduto; André Bonzel con J’aime à la fureur ci fa scoprire che i filmati amatoriali degli altri contengono anche le nostre vite e ci consegna un messaggio prezioso in quest’epoca di esaltazione dell’io ipertrofico: il cinema è l’arte del noi!

Gian Luca Farinelli

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