Per un altro cinema argentino: tra cosmopolitismo e marginalità
Il ciclo di film argentini proposto da Edgardo Cozarinsky e Fernando Martín Peña propone “un’altra storia”. L’intenzione era quella di portare al festival Il Cinema Ritrovato una selezione di film anticonvenzionali, non consacrati e poco conosciuti in Italia e in Europa, ma che hanno ricevuto grande impatto nel paese sudamericano.
La Buenos Aires di Cozarinsky
Lezione di cinema con Gian Luca Farinelli
Alla lezione di cinema Cozarinsky ha raccontato della sua passione precocissima per il cinema (il padre era un appassionato). Ha ricordato le luci e la frenesia serale della strada del cinema di Buenos Aires, dove le sale si alternavano una accanto all’altra e accoglievano tantissima gente: «vedere i film d’autore rinnovava gli spettatori». La popolarità del cinema era già cominciata negli anni ’30 e poi negli anni ’40: in quegli anni si diede inizio all’adattamento dei classici della letteratura, poiché si voleva esportare il prodotto argentino nel resto dell’America Latina con una vocazione dichiaratamente più internazionale. A tal proposito, Cozarinsky ha ricordato anche il boicottaggio da parte degli USA (forse a causa della neutralità dell’Argentina durante la Seconda guerra mondiale), che preferirono esportare le proprie pellicole in Messico (a danno dell’Argentina) e contribuire allo sviluppo dell’industria cinematografica del paese vicino. D’altra parte, l’Argentina stessa è stato per tutto il Novecento luogo delle migrazioni più disparate, «un rifugio: dapprima di antinazifascisti, poi di nazifascisti». Da citare il caso di John Alton, che arriva lì a formarsi per poi andare a riscuotere il proprio successo negli USA con la direzione della fotografia in celebri film a tinte noir. Tale apertura culturale è d’altronde dimostrata dall’opinione del pubblico riguardo all’uso del doppiaggio: «un disastro totale, la gente lo considerava un insulto. Si voleva sentire la voce della Bergman in inglese e sottotitolata piuttosto che la voce di un’altra donna sopra la sua». Il critico ha confermato le influenze determinanti del cinema italiano degli anni ’50: La provinciale (M. Soldati, 1952), ad esempio, è il primo film in cui egli ha preso consapevolezza del principio narrativo nel cinema; ma ancora Fellini, Rossellini, ecc. Scarsa invece è sempre stata l’influenza della letteratura sul cinema. Si può assistere a voci occasionali, mai sistematiche, come ad esempio quelle di Quiroga e Borges.
Il cinema e il restauro secondo Peña
«Da quando aveva 13-14 anni si mette lì a raccogliere e conservare pellicole. Se abbiamo una collezione del materiale argentino dobbiamo molto a lui…» ha dichiarato Cozarinsky indicando Fernando Martín Peña in ombra fra il pubblico alla lezione di cinema. Sul proprio intento quest’ultimo ha detto che: «Il cinema in 35 mm che è sopravvissuto in Argentina presenta purtroppo pochissimi esempi. Il nostro interesse non è soltanto conservarli, ma diffonderli. Questo perchè l’Argentina è un paese strano: il riconoscimento del valore di una pellicola, del suo restauro o della divulgazione, avviene soprattutto se arriva dall’estero».
I film
La rassegna presenta un materiale molto denso. Proviamo a isolare qualche esempio rappresentativo. Il vero iniziatore del cinema argentino può essere considerato Escala en la ciudad (A. de Zavalia, 1935). Il film possiede un respiro decisamente internazionale e interrompe la tradizione di tango e comicità delle origini. Una delle più belle attrici del periodo, Delia Garcés, presta il suo talento a una pellicola debitrice di una certa influenza cosmopolita e visivamente diretta da un John Alton ancora agli inizi. A proposito degli attori, ancora Cozarinsky ha sottolineato l’importanza, in quel periodo, dello sviluppo di una vera e propria specializzazione attoriale nel mondo del cinema, distante e indipendente dalle tecniche teatrali («sul palcoscenico si parla in segreto, nel cinema si parla alla camera da presa che ti spoglia del tutto»). Decisamente contro la cinematografia ufficiale è Soñar, soñar (L. Favio, 1975), protagonista di un insuccesso clamoroso al botteghino, forse dovuto al messaggio veicolato sulla marginalità di alcune categorie sociali, ma anche perché uscito all’indomani del colpo di stato del 1976 (i temi trattati, d’altra parte, non erano ben assimilabili a una dittatura militare: omosessualità celata, attenzione ai freaks della società, road movie di due emarginati dediti al mondo dell’arte). Film più convenzionale, ma dalla realizzazione magistrale, Mas allá del olvido (Hugo del Carril, 1955) si serve di uno schema narrativo topico (un uomo trova la sosia della moglie defunta in una prostituta) per rappresentare la tendenza del cinema argentino di quegli anni, ossia adattare su pellicola le opere letterarie europee (in questo caso Bruges la morta, Georges Rodenbach, 1892). Non si può non citare la rottura del canone operata da The Players vs. Ángeles Caídos (A. Fischerman, 1968), «film controcorrente forse ancora oggi» (Cozarinsky). I players sono dei personaggi al di fuori di sovrastrutture razionali. Appellati “fanfarones” dalla voce narrante, sono guidati delle proprie pulsioni vitali e dal contatto tra i corpi: corpi che diventano gesti, gesti che diventano identità. S’instaura poi, nelle figure degli angeli, una riflessione sul ruolo dell’attore che pone il film al livello degli esempi europei più celebri (“Cosa sai fare? – “Tutto, posso fare tutto” – “Tutto? Prendi ordini?”). Cozarinsky ha fatto notare il riferimento alla Tempesta di Shakespeare, a testimonianza del fatto che, alla base degli intenti del film, c’è una conoscenza della letteratura finalizzata alla sua destrutturazione (la chiosa finale, a tal proposito, è emblematica). Infine, merita una nota El secuestrador (L.T. Nilsson, 1957), che rappresenta un aspetto perverso della società: emerge un atteggiamento di ricerca sociale attraverso il canale della finzione (senza pretese documentarie) a rappresentare la situazione della miseria nelle periferie (in contrasto con gli ambienti cosmopoliti dell’epoca), non senza dei toni eccessivi e a tratti espressionisti (ad es., la scena che ritrae un maiale mangiare il corpicino di un infante, non è di certo consigliata ai deboli di stomaco).
La rassegna curata da Cozarinsky e Peña omette «l’onnipotente politica», propendendo verso la ricerca dell’anticonvenzionale e la divulgazione di pellicole poco conosciute fuori dal paese argentino. Omettere l’aspetto politico non è essa stessa una scelta politica? Se consideriamo “politica” le interazioni che si creano tra potere e individuo, tra potere e classe sociale, non abbiamo forse sullo schermo un notevole esempio di attenzione verso gli aspetti marginali della società, verso i non omologati, verso i reietti? Ci sembra certo, piuttosto, che questi personaggi e queste situazioni di vita proiettate ci consegnino un grande esempio di ricchezza esterna alle maglie normalizzanti del potere.
Daniele Barresi, Il Cinema Ritrovato News