‘Essere donne’ di Cecilia Mangini. Ieri, oggi, sempre.
Entra accompagnata da applausi scroscianti Cecilia Mangini, in un Dams Lab pieno e visibilmente emozionato. Gian Luca Farinelli introduce la proiezione di Essere donne definendolo “un piccolo capolavoro” e sottolineando la necessità della sua condivisione con il pubblico del Cinema Ritrovato.
La regista inizia a parlare e a raccontare com’è nato il suo lavoro ed è impossibile non rimanere affascinati dall’aura che emana, dal suo modo di condurci nella storia, la nostra storia.
Siamo quelle donne, lo siamo state in qualche modo.
È una forza gentile la sua, che arriva ovunque, in ogni angolo della sala. Dirompe e prorompe, tocca corde intime e profonde, apre parentesi mai chiuse, emoziona.
“È nato perché il Partito Comunista ha deciso (una volta e mai più, ride) di mettere a fuoco le tematiche più importanti su cui aveva intenzione di impegnarsi, anche attraverso la realizzazione di questi documentari. L’idea era quella di proiettare il filmato nelle sezioni e discuterne con i propri sostenitori. Un’idea molto moderna, alla quale ho aderito fin da subito con grande slancio”.
Cecilia prosegue spiegando l’inizio del documentario, un susseguirsi di immagini pilota del mito del benessere dietro cui si nascondono le incoerenze di un’Italia in continua contraddizione.
“Bisognava iniziare spiegando molto bene in che epoca ci si trovava allora, ossia in una repubblica democratico–conservatrice legata mani e piedi ai principi costitutivi della Democrazia Cristiana. Per questo ho deciso di focalizzarmi sulla società dei consumi, espressione più volgare ma più conosciuta della società di allora, criticandola attraverso le musiche delle proteste proletarie del 1929. Composte da Kurt Weill con i versi di Bertolt Brecht, questi canti erano delle prese di posizione nettissime di critica e repulsione verso una repubblica che avrebbe consegnato le proprie redini alla Germania nazista”.
Un impegno sociale, politico, civile che si dispiega fotogramma dopo fotogramma in Essere donne.
Così dai colori esplosivi delle immagini da rotocalco si passa al bianco e nero, in una contrapposizione netta tra mito e realtà. Il documentario ci mostra la condizione lavorativa femminile attraverso uno sguardo lucido che percorre l’Italia da Nord a Sud: non ci sono barriere, solo un principio di uguaglianza che accomuna tutte le lavoratrici, sempre in bilico tra un’anelata modernità e una tradizione inestirpabile. Senza mai cadere in facili pietismi, la macchina da presa si insinua nelle fabbriche, nei campi, nelle case, restituendoci la parte più vera di queste donne, i loro volti stanchi, le mani infaticabili, le voci di un’istruzione insufficiente e considerata marginale.
Il viaggio si conclude con le immagini di scioperi e picchetti al femminile, piccole ma insormontabili barriere superate a fatica e senza le quali non saremmo qui, oggi.
Il valore sociale di questo lavoro è testimoniato anche dal boicottaggio subito, una sorta di occultata censura per cui Essere donne non andò in sala perché non considerato dalla commissione di controllo “film di qualità“.
Ride Cecilia e ride tutto il pubblico.
La forza di questa incredibile donna sta tutta qui, in un coinvolgimento diretto, essenziale, forte ma gentile: “Non è un lavoro solitario, è un lavoro per voi“.
Un lavoro che ci rende partecipi di una storia universale, che parla a noi di tutti noi.
Report di Alice D’Isernia
Nell’ambito del corso di Alta Formazione per redattore multimediale e crossmediale, nel progetto di formazione della Cineteca di Bologna.
Clicca sull’immagine per la videointervista a Cecilia Mangini realizzata da Cinzia Baldi, Carolina Martin, Carolina Caterina Miguzzi, Michele Persici e Martina Rizzo.
Nella gallery seguente, ritratti realizzati da Margherita Caprilli