30/06/2016

Cinefilia Ritrovata, ‘Ultimo tango a Parigi’

La Parigi grigia e morbosamente affascinante di Bertolucci riprende corpo con l’ultima proiezione dedicata alla rassegna del Cinema Ritrovato, “Omaggio a Marlon Brando”. Così, se nel 1972 sul New Yorker Pauline Kael poneva il suo sguardo sui sentimenti irrisolti, oggi siamo ancora scossi da quella lucida irrisolutezza che è lo spirito dominante di Ultimo tango a Parigi.

Soltanto in un luogo segreto, un appartamento spoglio, un uomo e una donna possono decidere di provare a dimenticare tutto il resto facendosi trascinare dalla passione. Senza chiamare l’altro per nome e nemmeno se stessi. Fuori da lì lui è Paul (Marlon Brando), americano trapiantato a Parigi e in crisi dopo il suicidio della moglie, lei è Jeanne (Maria Schneider), parigina borghese prossima al matrimonio. L’appartamento diventa un’isola, un luogo che non esiste se non per chi vi entra, in cui i due diventano altro da loro stessi o forse toccano con mano quella che è la loro vera natura.

Tuttavia come dice la protagonista “l’amore non è pop”, a differenza del matrimonio, e infatti la musica che accompagna la passione sfrenata di Paul e Jeanne è un jazz che profuma di sonorità latine. Una colonna sonora che avvolge Parigi e che ci stringe dentro le mura dell’appartamento, fino a portarci nel mondo reale in una vera e propria danza mortale. Gato Barbieri, recentemente scomparso, gioca con una serie di variazioni su tema nel comporre un tema musicale che Bertolucci alterna a silenzi quasi totali.

Nello specifico possiamo anche affermare che la colonna sonora va a rafforzare la climax di erotismo, malinconia, incomunicabilità e disperazione che culmina nella sequenza alla Salle Wagram dove è in corso una gara di tango. Il vaso di Pandora è ormai aperto e i demoni della realtà divorano i due protagonisti, lasciando solo quel barlume di elpìs, di speranza, che da lì a poco avrà una sua fine. Lo sparo della pistola di Jeanne porta l’eco del suo nome e di colui che ha ucciso. Eppure nel frastuono del momento finale, mentre il sax strilla sempre più forte, ci rendiamo conto che il mantra ipnotico della ragazza – “non lo conosco… uno sconosciuto, un pazzo… non lo so come si chiama…” – non è nulla più che una menzogna.

Da considerare anche la rilevanza data nel film alle fonti della musica. Infatti il tango nella sequenza della Salle Wagram è diegetico, anche se acusmatico, ma non possiamo dire lo stesso per altre sequenze in cui la musica assume diverse funzioni sul piano comunicativo, ma sempre a livello extradiegetico. Rappresentano un’eccezione il sassofonista che alloggia nella pensione gestita da Paul e il giradischi di Jeanne, unico caso di musica pop.

Ma tutto il film è pervaso dal sax di Gato Barbieri che, così fumoso e sensuale, ci travolge trascinandoci nella torbida spirale di passione dei due protagonisti. Come fece notare egli stesso, “Nel tango c’è sempre tragedia – lei lo lascia, lei lo uccide. È come un’opera, ma si chiama tango”.

Federica Marcucci – Associazione Culturale Leitmovie