04/07/2015

’12 DICEMBRE’ DI PASOLINI. INCONTRO CON GOFFREDO FOFI E MAURIZIO PONZI

Cadeva di venerdì, il 12 dicembre del 1969. La giornata lavorativa volgeva al termine per i milanesi, molti operai e agricoltori della Bassa erano tornati in città per il fine settimana. Dietro la facciata posteriore del Duomo, nel salone centrale della Banca Nazionale dell’Agricoltura, una folla di persone attendeva il proprio turno. Una valigetta incustodita era posata sotto il grande tavolo centrale. Alle cinque del pomeriggio di venerdì 12 dicembre 1969, quella valigetta saltava in aria: 17 morti, 85 feriti. Al suo interno vi era un ordigno, collegato ad un timer, e da quel momento in poi questo episodio divenne per tutta l’Italia: la strage di Piazza Fontana.

La questura si mise subito in moto. A quel tempo il questore di Milano era Marcello Guida (ex fascista), Antonino Allegra il capo dell’ufficio politico ed il commissario Luigi Calabresi. La polizia, nel corso di due giorni, arrestò l’anarchico Pietro Valpreda e fermò il noto compagno Giuseppe Pinelli. La notte di lunedì 15 dicembre 1969, il corpo di Pinelli precipitava da una finestra del quarto piano della Questura centrale: ebbe così inizio un lungo periodo di attacchi violenti, soprattutto da parte del movimento Lotta Continua, rivolti al commissario Calabresi, ritenuto colpevole dell’assassinio dell’anarchico.

Piazza FontanaLotta Continua, il cui leader era Adriano Sofri, nel 1970 propose a Pier Paolo Pasolini di girare un documentario di denuncia. Pasolini accettò, perché era attratto dall’idealismo del gruppo extraparlamentare anche se non ne condivideva molti aspetti ideologici.  Il suo obiettivo era di raccontare cosa stava accadendo a quell’Italia che aveva “perso l’innocenza”, fotografare un momento storico che avrebbe segnato per sempre la vita di coloro che lo stavano attraversando. «Sofri era un grande seduttore, aveva conquistato persino Sciascia. In questa fascinazione cadde anche Pasolini». Così spiega Goffredo Fofi all’anteprima del restauro di 12 Dicembre, alla quale era presente anche Roberto Chiesi, responsabile del Centro Studi – Archivio Pier Paolo Pasolini, che si è occupato di curare il progetto. Pasolini e Sofri però non si intendevano molto sulla linea politica, né su quella cinematografica, così Fofi stesso fu chiamato per fungere da intermediario tra i due; da un lato vi erano le idee operaiste di Sofri, che veniva dal potere operaio di Pisa, e dall’altro quelle terzomondiste di Pier Paolo. «Accettai perché ero disgustato dal cinema militante fatto di “manifestazioni, botte, assemblee”». Pasolini in quel momento si trovava sul set Il Decameron, dunque Fofi e il giovane Giovanni Bonfanti (Lotta Continua) si recarono di persona a Caserta per parlargli del progetto. «Io scrissi un soggetto – spiega sempre Fofi – dedicato agli operai della FIAT e dove il film veniva concepito come un viaggio in Italia, da Nord a Sud» e da quell’idea iniziarono le riprese. Pasolini era riuscito a trovare nella PEA i possibili finanziatori, e assieme a Bonfanti stesso diede inizio alle riprese, che si conclusero nell’estate del ’71. Come per i Comizi d’amore, girati 7 anni prima, si trattava di realizzare un viaggio, geografico e temporale, attraverso le città italiane teatro di eventi caldi. Pasolini girò le sequenze di Milano, relative alle manifestazioni avvenute un anno dopo la strage, e le interviste dedicate all’assassinio di Pinelli, tra le quali spicca una commovente intervista a Rosa Malacarne, madre di Pinelli, e alla moglie Licia Rognini; girò poi a Napoli e a Bagnoli, alle fabbriche di Carrara, Musocco, Viareggio.

Conclusa questa prima fase del lavoro, Pasolini era impegnato nella realizzazione de I racconti di Canterbury. Decise così di rivolgersi ad un amico, il giovane critico e regista Maurizio Ponzi, che accettò la proposta di montare il film, operazione che secondo Pasolini avrebbe richiesto non più di qualche settimana. «Quando andai in moviola – racconta Ponzi – scoprii che le ore di girato erano sei. Iniziai a fare il lavoro di messa in ordine del materiale in modo da dividerlo per blocchi, a seconda delle regioni d’Italia, e cercai di ordinarlo, perché era ancora molto confuso». Al suo fianco vi era Roberto Mancini, assistente di montaggio. «Man mano che montavamo, scoprivamo che mancavano delle cose, che si poteva avviare meglio una certa sequenza. Inoltre Pasolini non si sarebbe accontentato certo di un materiale così bruto. Perciò si montava, ma nello stesso tempo si andava anche a girare. Ad esempio: l’intervista all’anarchico milanese Augusto Lodovichetti venne in mente solo in un secondo momento a Bonfanti». Si creava quindi il film su un doppio binario: da un lato in moviola, dall’altro interpolando nuove riprese.

Pasolini e Maurizio PonziDopo più di un anno il documentario aveva assunto una forma definitiva. Ma nei crediti Pasolini non figurava tra gli autori. In una registrazione ritrovata poco tempo fa, datata 22 giugno 1972, egli affermava infatti: «Gli avvocati che l’hanno visto mi hanno detto che era pericolosissimo, che mi avrebbero messo in prigione. E allora abbiamo trovato una formula per cui il mio nome ci fosse, perché chi voleva capire capisse, ma formalmente non potessero procedere contro di me». Nell’aprile del ’71 Pasolini era stato infatti denunciato per “istigazione a delinquere e apologia del reato” per il supplemento di Lotta Continua “Proletari in divisa”, e nel giugno dello stesso anno aveva firmato la lettera aperta pubblicata su L’Espresso dove Calabresi veniva accusato di essere stato il torturatore di Pinelli. Risultò quindi che il film era semplicemente nato da una sua idea.
L’avvocato Grimaldi invece, presidente della PEA, non aveva mai visto il film, perciò si accordò con Ponzi per visionarlo. Quando Grimaldi arrivò, Ponzi si posizionò in moviola ed iniziò a proiettare la pellicola: durò solo pochi minuti, durante i quali l’avvocato non riuscì a trattenersi dal ripetere “qui ci arrestano tutti”. «Disse che secondo lui era impossibile far uscire il film, perché era troppo pericoloso, conteneva delle affermazioni che avrebbero dato adito a querele, a guai a non finire per tutti», racconta Ponzi stesso. «Anche non ci fosse stato questo terrore di Grimaldi, giustificato, dati i tempi, si trattava comunque di un film che avrebbe potuto avere solo una piccola visibilità all’interno di un certo filone, non certo una distribuzione normale. E alla fine non ha avuto neanche quella».

D’altra parte, anche Lotta Continua non fu entusiasta del risultato finale, «lo giudicarono un progetto abortito, non era quello che loro volevano». Lo scontro di idee iniziale non venne mai sanato: Lotta Continua voleva attenersi al filone classico del cinema militante italiano, nel quale veniva semplicemente esposta una tesi preconcetta. «Il cinema militante era abbastanza mediocre. Uno dei suoi peccati era una certa settarietà, che è un vizio del cinema politico italiano in generale. È un tipo di film autoritario, in cui lo spettatore non può non essere d’accordo con quello che sta vedendo». Ma la personalità di Pasolini era troppo forte per non incidere su quello che stava dicendo, per lui questa tesi preconcetta poteva anche essere contraddetta. Il suo merito – tra i tanti – fu quello di «discuterla un po’, questa tesi, essere più aperto. Dar vita ad un cinema che lasciasse lo spettatore libero di decidere da che parte stare».

Il film venne presentato al festival di Berlino nel 1972, in un’edizione cui erano stati apportati vari tagli rispetto alle intenzioni di Pasolini ma con il suo assenso e proiettato all’interno del circuito culturale dei Circoli Ottobre (parallelo a Lotta continua). Da quel momento in poi, Maurizio Ponzi non esclude che qualcuno possa averlo manipolato, eliminandone alcune parti. «A posteriori è necessaria questa cronologia perché il film è passato per tante mani, ma a quel tempo non lo si pensava, a tutti sembrava molto più semplice di quello che in realtà è stato». Le riprese di Pasolini, tuttavia, sono facilmente riconoscibili: l’intervista alla madre e alla moglie di Giuseppe Pinelli rappresenta uno dei momenti più toccanti di tutto il film.

Anteprima '12 Dicembre'Solo dopo più di vent’anni, nel 1995, si decise di pubblicare il film in videocassetta e nel 2012 in dvd. L’idea fu di Laura Betti, avallata da Sofri. In questa edizione però, il film fu ridotto e passò da 104 minuti ad una cinquantina di minuti, mentre la copia originale ed integrale era conservata alla Cineteca di Bologna. Nel 2014 il film è stato restaurato dal laboratorio L’Immagine Ritrovata per volontà della casa editrice tedesca Laika Verlag e della Fondazione Cineteca di Bologna; il DVD verrà pubblicato da Laika all’interno della collana “Biblioteca della resistenza”. Gabriella Angheleddu e Karl-Heinz Dellwo della casa editrice Laika Verlag erano presenti all’anteprima (tenutasi in occasione del Cinema Ritrovato) e hanno presentato 12 Dicembre come «un film molto attuale. Parla di una strage di stato, di come le istituzioni abbiano cercato di riscrivere la storia».

Qual è l’importanza di un documento simile a distanza di 40 anni dalla strage? Per prima cosa, come sottolineato da Maurizio Ponzi, il restauro è stato fondamentale, poiché consentirà finalmente di vedere il documentario così come era stato pensato. Inoltre, aggiunge: «Ho scoperto che tanti ragazzi non sanno chi era il tassista Rolandi, non sanno chi era Valpreda, o comunque conoscono poco di questa vicenda». Ecco quindi l’importanza: mantenere vivo il ricordo, nelle nuove generazioni, di ciò che accadeva all’Italia dopo il 12 dicembre 1969.

Roberta Cristofori