Chahine: glamour, musica e rivoluzione. L’ultimo degli ottimisti arabi

Programma e note a cura di Tewfik Hakem
in collaborazione con Cinémathèque française e Association Youssef Chahine

 

Youssef Chahine è stato un uomo-cinema, nel senso che del cinema ha fatto praticamente tutti i mestieri: il regista, certo, ma anche il produttore, l’attore, il cantante, il montatore. Quando riuscì miracolosamente a guadagnare un po’ di soldi li reinvestì subito nei film successivi o li usò per comprare una sala cinematografica nel centro del Cairo, per diffondere il cinema mondiale di qualità.
In poco più di cinquant’anni di carriera Chahine si è cimentato in tutti i generi, passando dal peplum al documentario, dal dramma intimista alla commedia musicale senza dimenticare le saghe storiche e i film autobiografici. A tale riguardo va osservato che Chahine, più che passare da un genere all’altro, era solito mescolare vari generi nei suoi film. Per esempio, Bab el-Hadid (Stazione centrale, 1958), una delle sue opere maggiori, non è semplicemente un film drammatico ma anche un noir, una commedia di costume, un’opera d’impegno politico.
Come i romanzieri suoi contemporanei Albert Cossery e Nagib Mahfuz, Youssef Chahine amava profondamente il popolo del Nilo, la gente comune d’Egitto, senza peraltro sacrificare i divi dell’industria dei sogni. Qualcuno ricorda ancora che fu proprio Chahine a scoprire e a lanciare Omar Sharif? La mitica coppia Omar Sharif-Faten Hamama fu un’invenzione del regista nello splendido Serâa fil al-Wadi (Cielo infernale, 1954).
Nell’epoca d’oro dello studio system egiziano, Chahine fu il primo a privilegiare le ambientazioni naturali per filmare l’Egitto e gli egiziani in tutta la loro diversità, tanto che dall’alto dei suoi quaranta titoli è possibile ripercorrere la storia dell’Egitto del Ventesimo secolo.
Per quanto radicato nella realtà egiziana, il cinema di Youssef Chahine è universale. Nutritosi di film francesi e inglesi negli anni Trenta e Quaranta e formatosi a Hollywood, Chahine è stato anche profondamente influenzato dal neorealismo italiano. La sua cultura globale gli permetteva di parlare a tutti, tanto più che padroneggiava varie lingue come tutti i figli della cosmopolita Alessandria della sua giovinezza. Il grande critico francese Serge Daney ricordava giustamente che Chahine è stato “l’ultimo interlocutore” arabo dell’Occidente. Dieci anni dopo la morte del grande cineasta egiziano, in Le Livre d’image il suo amico Jean-Luc Godard cita varie scene dei film di Chahine e constata che il dialogo con il mondo arabo si è ormai interrotto.
Nato levantino (per usare un termine oggi desueto) nel 1926 ad Alessandria in una famiglia di confessione greco-cattolica, Chahine è morto egiziano, il 27 luglio 2008 al Cairo. L’uomo che ha reso famoso l’Egitto sulla scena cinematografica internazionale ha combattuto fino all’ultimo contro le dittature, i fanatismi, i populismi. In lui la lucidità non ha mai intaccato un ottimismo allegro e contagioso, decisamente senza frontiere.

Tewfik Hakem

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