Lezione di cinema di Martin Scorsese al Cinema Ritrovato: “Il cinema è un’esperienza irrinunciabile”
Il 23 giugno, al Teatro Comunale di Bologna Martin Scorsese in conversazione con quattro grandi cineasti italiani: Matteo Garrone, Valeria Golino, Alice Rohrwacher e Jonas Carpignano.
Ad aprire l’evento l’Assessore Matteo Lepore: “Per tutti noi che lavoriamo per il Comune di Bologna, nelle fondazioni, nelle istituzioni culturali questa è una grande, grande giornata”.
A introdurre gli ospiti il Direttore della Fondazione Cineteca Gian Luca Farinelli che ha dedicato un ringraziamento speciale alla Regione Emilia-Romagna, al Ministero dei Beni Culturali e al Comune di Bologna per il sostegno alla Cineteca di Bologna e al festival del Cinema Ritrovato.
Gian Luca Farinelli: “Scorsese è un maestro, non solo per i grandi cineasti, ma anche perché ci ha insegnato perché amare la storia del cinema italiano attraverso il suo meraviglioso personale viaggio, ci ha insegnato come amare il cinema americano attraverso il suo documentario, ci ha insegnato cosa vuol dire essere figlio di migranti italiani attraverso lo stupendo Italianamerican. Con i suoi documentari sulla musica americana ci ha insegnato perché amare la cultura pop americana. Ma la vera ragione per cui Scorsese è qui al Cinema Ritrovato è perché è stato il primo cineasta a dire ad alta voce quanto sia importante per i cineasti di oggi il cinema del passato. Per questo i cineasti, grazie al lavoro di Scorsese, si sono riuniti nella Film Foundation, nel World Cinema Project. Martin Scorsese è uno dei pochi che ha lavorato affinché i film fossero visti nelle sale, che si è impegnato per il restauro del patrimonio cinematografico e per la creazione di programmi scolastici per formare i giovani cineasti”.
In conversazione con il grande Scorsese 4 grandi regiisti italiani: Matteo Garrone (presenti in sala con grande sorpresa del pubblico anche i due protagonisti di Dogman, Marcello Fiore ed Edoardo Pesce), Alice Rohrwacher, “una delle voci più personali, appassionate, colte e italiane del cinema contemporaneo”, ha sottolineato Gian Luca Farinelli, Valeria Golino, una grande attrice che ha inoltre intrapreso la carriera da cineasta con “Miele” e con “Euforìa”, “un film estremamente sorprendente e personale”; e poi Jonas Carpignano, che è stato allievo di Martin Scorsese e che ci ha regalato Mediterranea e A Ciambra, “due film che sembrano venire da un altro mondo, che ci aprono gli occhi, che ci dicono con parole nuove quello che sta succedendo, pensiamo al fenomeno delle tante persone che dall’Africa vengono verso l’Italia”.
Ad aprire la conversazione Matteo Garrone, che ha interrogato Scorsese sulla crisi delle sale cinematografiche data dall’era digitale:
Martin Scorsese: “Mi occupo di cinema dal ’44 e non c’è niente che possa essere paragonato con l’andare in sala a vedere un film, che sia Lawrence d’Arabia o un film di De Sica: è una esperienza di condivisione con gli altri, questa è una cosa che non ha nessun confronto […] Non c’è nessun dubbio, l’esperienza del cinema deve essere sostenuta dal pubblico di tutto il mondo e abbiamo un grandissimo esempio qui a Bologna. Per sostenere intendo dire che le famiglie, i vecchi, i giovani dovranno essere pronti ad uscire da casa, pagare il biglietto, anche per vedere dei film restaurati; ero a Los Angeles alla Turner Classic Movies e ho parlato in occasione del cinquantesimo di 2001 Odissea dello spazio, e ho detto a tutti ‘sostenete questi film!’, non si tratta solo di preservare il cinema ma anche di esporre, mettere in mostra il cinema, perché quando i finanziatori vedono che la gente vuole andare al cinema allora forse qualcosa accade.
L’esperienza dell’andare al cinema deve essere trasmessa come un’esperienza irrinunciabile: ricordo quando ero giovane, quando la tv non c’era, era normale andare al cinema, ora ci si muove verso il digitale ma rimane anche il 35 mm e bisogna spiegare a tutti che non è finita qui, che questi sistemi continueranno a coesistere e starà a noi, anche dopo il restauro di alcuni film importanti del passato, continuare a sostenere questi film: come esiste il new cinema, dobbiamo pure ritrovare la possibilità di vedere i film del passato, che sono altrettanto importanti. […] Dobbiamo generare la differenza tra quello che è arte e quello che è contenuto di natura commerciale.”
Un’altro tema importante sollevato da Matteo Garrone è stato quello dell’insegnamento del cinema nelle scuole. Martin Scorsese a tal proposito ha dichiarato: “Alla Film Foundation abbiamo realizzato questo corso di studi che è chiamato The Story of Movies, andiamo nelle scuole per insegnare ai giovani a leggere il cinema e a capire che è importante un alfabetismo verbale, ma anche visivo. […] Stiamo vivendo un’epoca in cui le immagini sono ubique ma sono poco significative, dobbiamo riportare le persone, i ragazzi in particolare, all’alfabetismo visivo, che è molto importante: la luce è la luce, l’ombra è l’ombra, un viso illuminato per metà può voler dire qualche cosa. Un’immagine presa da un punto piuttosto che un altro può avere un significato diverso, questo dobbiamo cercare di trasmettere”.
Con Valeria Golino la conversazione si è spostata sul lavoro di un cineasta e sulla costante tensione tra la propria attività e la percezione del pubblico, tra l’idea originaria di un progetto e le infinite declinazioni che assume attraverso il giudizio dell’audience.
Martin Scorsese: “C’è sempre un momento in cui non ho più idea di quello che sto facendo, ma alla fine quello che importa veramente è che sai che tutti saranno contro di te, ma quel che davvero conta è affezionarti davvero a quello che hai fatto, onorare quella scintilla iniziale che ti ha spinto a iniziare il progetto e pensare che quello che hai fatto è importante; e questo riuscirai sempre a comunicarlo a qualcuno, è una cosa molto delicata. Ma ci saranno sempre alcune persone che diranno: ‘si, ho capito, si mi è piaciuto’ e magari sono persone che non conosci, persone che vengono da un’altra parte del mondo.”
Con Jonas Carpignano ci si è soffermati su quali siano i criteri di scelta che spingono Martin Scorsese a restaurare determinati film del patrimonio cinematografico mondiale.
Martin Scorsese: “L’istinto ha sempre giocato un ruolo importante: già nel ’70 – ’80 mi sono reso conto che alcune forme di espressione andavano perse e questa cosa mi faceva arrabbiare. Ho pensato che fosse terribile che i proprietari di queste pellicole le lasciassero lì a marcire. Poi ho capito che forse noi eravamo una nuova generazione e che quella precedente alla nostra non si era nemmeno posta il problema, non sapeva quale sarebbe stata la continuazione del cinema, parlo in particolare degli Stati Uniti. Dunque lì ho capito che quello che mi aveva tanto colpito andava in qualche modo preservato e nel ‘79 – ‘80 sono partito insieme ad altri nella creazione di un movimento dal quale è poi nata la Film Foundation. […] Ci credevano assolutamente pazzi, poi hanno cambiato idea quando sono arrivati i film di Spielberg, quando è arrivato ‘Taxi Driver’ e molti altri e poi nel 1990 ho fatto ‘Quei bravi ragazzi’ e in quell’occasione sono riuscito a riunire gli archivisti, coloro che si occupavano di conservazione e gli Studios. Con la Rosen University di Los Angeles sono andato agli studi di produzione e a questo punto mi lasciavano entrare, probabilmente perché stavo per fare un film con loro, sapevano che cosa pensavo del cinema, dell’arte in generale… Ma gli Studios consideravano gli archivisti dei ladri e si sentivano derubati della loro proprietà, invece io cercavo di spiegare ‘C’è qualche cosa oltre a voi, c’è il pubblico che ama questi film e voi avete la responsabilità, insieme agli archivisti, di sostenerli! Siete voi ad avere i negativi, come li hanno anche gli archivisti.’ Così è iniziata questa collaborazione tra le cineteche e gli Studios che potevano contribuire economicamente.
Si trattò veramente di cambiare il loro modo di pensare. Ora siamo giunti ad una situazione ancora diversa, perché i formati risultano obsoleti ancora più rapidamente di prima, rispetto alla pellicola: sappiamo che la celluloide è comunque il mezzo più stabile, che può durare circa cent’anni, mentre i nuovi formati devono poter migrare e per migrare hanno bisogno di essere conservati. Dobbiamo spiegare ai proprietari legali di queste opere d’arte che dovranno, nei budget dei film, dedicare una certa somma per la conservazione, altrimenti tra dieci anni non sarà più possibile vedere i film di oggi da nessuna parte.
Io utilizzo ancora la pellicola, in 35 e in 16 mm, ma allo stesso tempo utilizzo anche il digitale: con ‘Hugo Cabret’ ho utilizzato il digitale in 3D, poi ho sviluppato progetti per la televisione, mentre ‘The Irish Man’ è per un terzo digitale mentre il resto è in pellicola.”
Alice Rohrwacher: “Sono molto interessata a questo argomento del supporto: io ho conosciuto la pellicola dopo il digitale, quindi è per me la cosa più moderna che mi sia capitata nella vita. Ora la Cineteca di Bologna dovrà convertire in pellicola tutti i film girati in digitale!
Invece volevo fare una domanda forse semplice ma importante: è evidente che c’è un legame con l’Italia, non credo si possa chiudere questo incontro senza parlare di questo legame. Addirittura ci hai insegnato delle cose sul cinema italiano con ‘Il mio viaggio in Italia’, il ritratto dei tuoi genitori in ‘Italo-Americans’, un ritratto di persone felici che raccontano le avventure dei loro familiari per arrivare in America. Non voglio fare l’italiana che si aspetta di sentir parlare bene dell’Italia, è questo rapporto immaginato con l’Italia che mi interessa, il rapporto con un paese che è arrivato attraverso dei racconti e attraverso il cinema, se ci vuoi raccontare questo rapporto favoloso…”
Martin Scorsese: “Sono cresciuto in un ambiente italo-americano, siciliano, i nonni non conoscevano l’inglese mentre i miei genitori si: è tutto quello che ricordo, questa vita in famiglia allargata; e al cinema si andava molto, ci andavo in particolar modo io perché da piccolo avevo una grave asma e i medici mi avevano vietato di fare sport, non potevo neppure ridere troppo perché in quel caso diventavo blu e cadevo a terra. Per questo ho avuto una vita piuttosto isolata da giovane e i miei genitori mi portavano spesso al cinema: era un’esperienza condivisa. Qui vedevo un mondo completamente diverso: il mondo dell’America, i film western a colori che mi piacevano un sacco, poi c’erano gli animali al cinema – io non mi ci potevo avvicinare per la mia malattia. Poi ho iniziato a cambiare percezione negli anni ‘50, ho cominciato a rendermi conto di cosa fosse davvero l’America e di come io venissi da una cultura completamente diversa, una cultura di gente reale e molto semplice, di contadini: lì mi sono reso conto della differenza tra Italia e America. […]
Nel ‘48-’49 cominciarono il venerdì sera a mostrare i film neorealisti italiani: io ero abituato ai western – e mi piacevano – o ai noir, ma quando per la prima volta ho avuto l’esperienza dei film neorealisti italiani – ho visto ‘Sciuscià’, ‘Ladri di biciclette’, ‘Roma città aperta’, ‘Paisà’ in particolare – mi sono reso conto del fatto che quello era davvero il mondo reale. C’era una realtà anche nei film americani, ma era diversa, era modificata affinché diventasse entertainment, diventasse accattivante. La realtà che vedevo attraverso i film neorealisti era la realtà ultima: quando mi sedevo nella stanza con zii e zie, nonni e genitori… la realtà più vera che potessi vedere era quella.
[…]
Poi mi sono trovato a creare un unicum di questi aspetti: ci sono tante diverse sfumature, potevo ritenermi soddisfatto della possibilità di avvicinarmi al cinema italiano del reale degli anni ‘50, ‘60 o anche di quello precedente di Pasolini, oppure al film fatto di bellezza, anche di grandiosità, come i film di John Ford o di Orson Welles. Non sono mai riuscito ad integrare tanto bene le due cose.
Vediamo tutte le influenze che ci sono nei nostri film e poi si arriva a pensare: ‘Ha qualcosa di Orson Welles o di Rossellini, ma in fondo ad un certo punto non importa più, è la mia storia!
Report a cura di Laura Di Nicolantonio
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