02/07/2016

Sguardo sul cinema cubano pre-rivoluzionario

Storicamente la critica ha mostrato attenzione alle pellicole girate a partire dal 1959, anno della costituzione dell’Instituto Cubano del Arte e Industria Cinematográficos, trascurando le pellicole del periodo pre-rivoluzionario. Luciano Castillo, il curatore cubano della rassegna, ha precisato che la selezione di queste pellicole ha avuto un valore non solo artistico, ma anche storico, in qualità di testimonianza socioculturale di un’epoca quasi ignota in occidente. Un cinema che da una parte mette in evidenza la propria leggerezza, la passione per il ballo e la musica; dall’altra il desiderio di costituire una propria identità politica, scevra dalla passata dominazione spagnola.

La rassegna prende il via dall’unico minuto che si conserva oggi girato da Enrique Díaz Quesada (definito il “Pathé cubano”): fu un antesignano della settima arte e proprietario del primo studio dell’isola. La pellicola (El parque de palatino, 1906) è di enorme importanza, poiché testimonia l’attenzione del cinema pre-rivoluzionario verso le tradizioni del proprio popolo: ritroviamo infatti, a distanza di venti o anche cinquant’anni, lo stesso interesse antropologico e identitario in corti come ¿Cual es la cubana de los ojos mas lindos?, 1929; Maracas y Bongo, 1932; Fiesta de la canción cubana, 1956 e nel film Cuba canta y baila, 1951, in cui danza e canzone popolare divengono non soltanto occasione di svago, ma vero e proprio identità collettiva di un popolo. Il ciclo include poi alcuni corti di propaganda: si passa dalla celebrazione degli eroi nazionali (Martí, mentor de juventudes, 1953) allo sviluppo dell’industria nazionale (Tabaco Rubio, 1958), dalla promozione turistica tutt’altro che chiusa al modello statunitense (23 – El Broadway Habanero, 1957) agli spot promozionali ([Orange Crush], 195?). Proprio alla propaganda si rivolge la sottile ironia di uno dei film più rappresentativi, Yo soy el héroe, (E. Caparrós, 1940), deliziosa commedia in cui il protagonista diviene eroe nazionale dopo esser stato creduto morto: il rimprovero della moglie «Morir por la patria es vivir!» è solo un esempio dell’arguta critica al sistema propagandistico ufficiale; la pellicola, distribuita anche in Messico e Argentina (insolito per l’epoca), è visibilmente densa di influenze chapliniane. Molto più conforme agli stilemi del cinema delle origini, ma non per questo privo della sua originalità, appare invece La virgen de la caridad (R. Peón, 1930), unico film che si conserva del periodo. Almendros (il famoso direttore della fotografia catalano), si è detto sorpreso della qualità fotografica, apostrofando il montatore del film come “el Griffith cubano”. Nel girato compaiono anche le didascalie in inglese per ipotizzare la distribuzione anche negli USA, a testimonianza del fatto che la chiusura politica di Cuba non era ancora avvenuta. S’intravede un paese in via di sviluppo, con uno spaccato antropologico fatto ancora di feste, sagre di paese, giostre e combattimenti fra galli. Il film si sviluppa seguendo il topos dell’emigrato all’estero che ritorna al paese natio e che vuole prendere in sposa una giovane donna (purtroppo già innamorata di un altro) mettendo in scena dei malvagi stratagemmi. La disputa che ne viene fuori si conclude con un happy ending in linea con i tempi; al di là della trama, stupiscono l’abilità del direttore della fotografia nelle inquadrature e nei primi piani, con l’esplicita volontà di valorizzare il popolo cubano.

Da questa rassegna è emerso l’impegno nella diffusione del cinema delle origini di un paese che, ai piani alti, ha sempre politicizzato le proprie produzioni, rivendicandone con orgoglio la paternità e privandone la conoscenza al resto del mondo. Probabilmente, prolungando l’attesa per troppo tempo.

Daniele Barresi, Il Cinema Ritrovato News