Fuori Cinema | Film in TV (ma da vedere) _ mercoledì 22 aprile
Giorgio Diritti ha raccontato lunedì scorso sui nostri social il suo grande film sulla Resistenza nel nostro Appennino, partendo da uno dei suoi episodi più drammatici, la Strage di Marzabotto. Segnaliamo quindi oggi nella nostra rubrica L’uomo che verrà, assieme al altri titoli del palinsesto televisivo, tra i quali la parodia, più che mai delirante, di Che fine ha fatto Baby Jane interpretata da Totò.
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GRAND BUDAPEST HOTEL (The Grand Budapest Hotel, 2013, 100 min) di Wes Anderson
[Sky Cult, ore 19.15]
L’opera di Wes Anderson ha un segno così divertente, preciso e personale, che basta guardarne un’inquadratura per capire che è un suo film. Leggendo la trama di Grand Budapest Hotel pensereste a un film d’avventura. In realtà è una giocosa riflessione sull’arte di uno dei maggiori artisti contemporanei che, spesso, ha messo al centro delle sue storie il labirinto. In questo film, per la prima volta il labirinto non è solo spaziale, ma anche temporale. Il film inizia nel presente, e lo schermo ha il formato 1.85, poi salta nel 1985, fa un balzo nel 1968 e diventa cinemascope, per trovare, finalmente, il suo cuore negli anni ’30 con il formato Academy. Wes Anderson ci dice che la storia è composta da mondi pluristrato che si incastrano, da grandi sistemi politici (il fascismo, il comunismo, il liberalismo) che si divorano tra loro, opposti ma identici nel trasformarsi, alla fine, in rovine. I mondi scompaiono, uno dopo l’altro, come quando si chiude un ventaglio. Solo la fecondazione dell’arte, l’eredità consegnata ad una generazione successiva ci può salvare. Il personaggio di M. Gustave H. (meravigliosamente interpretato da Ralph Fiennes) ha tutto l’amore di Wes Anderson. Ma senza la figura molto più grigia, senza glamour, dello scrittore, della vita di Gustave non resterebbe nulla. È la morale molto poco dandy del film. Contro tutte le barbarie il lavoro è più importante dello stile. Quattro premi Oscar per Costumi, Scenografia, Trucco e Colonna sonora.
(G.L.F.)
Approfondimenti
Antologia della critica italiana; il pressbook con la storia del film; il backstage e il making of; l’influenza di Stefan Zweig; le location (vere e fittizie) del film; l’Oscar per i costumi a Milena Canonero.
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PROVA A PRENDERMI (Catch Me If You Can, 2001, 141 min) di Steven Spielberg
[Iris (canale 22), ore 21.10]
Truffatore e gentiluomo, il diciannovenne Frank Abagnale attraversa l’America passando di identità in identità, di imbroglio in imbroglio, sempre sgusciando tra le mani della polizia con disinvolta eleganza. Finché sulle sue tracce si mette un agente dell’FBI che saprà smuovere in lui certe corde segrete. Da una storia vera germoglia in modo magico e naturale una parabola americana, il romanzesco resoconto delle opportunità che il grande paese offre a un virtuoso dell’impostura. Se il tessuto narrativo e ironico è da grande letteratura (un Tom Jones nell’America anni Sessanta), più profondo batte il cuore del film: il cuore di un Peter Pan che cerca la casa perduta, la storia del bambino smarrito che da dietro i vetri vede la mamma giocare con la sua nuova famiglia, e capisce che può solo riprendere il volo. È il momento fuggevole in cui la piena maturità d’attore di Leonardo Di Caprio incrocia lo splendore di un’eclatante giovinezza; e non poteva esserci miglior sparring partner dell’americano tranquillo Tom Hanks. Sequenze memorabili per humour, tensione, evocazione d’epoca, apertura musicale. A conti fatti, il capolavoro di Spielberg.
(P.C.)
Approfondimenti
Antologia della critica italiana e la recensione del “New York Times”; un’intervista a Steven Spielberg; dietro le quinte; Carlo Lucarelli racconta Frank Abagnale.
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CHE FINE HA FATTO TOTÒ BABY? (1964, 110 min) di Paolo Heusch (non accreditato)
[Cine 34 (canal 34), ore 22.45]
Penultima parodia interpretata da Totò, è la più folle, scombiccherata e lunare, dato che si ispira molto liberamente a Che fine ha fatto Baby Jane? di Aldrich con Bette Davis. Ma il principe de Curtis, a differenza che in Totò Diabolicus, non assume mai panni femminili, bensì, grazie all’espediente di un’insalata di marijuana, libera quella vena di cattiveria dispettosa e addirittura sadismo che nei film precedenti esprimeva magari in piccole dosi innocue. Qui invece può scatenarsi: capelli irsuti, espressione grifagna e rapace, occhi allucinati e vitrei, la sua maschera diviene surreale allo stato puro e i duetti dove tortura il povero Pietro De Vico sono esilaranti (ma nel film appare anche, un po’ malinconicamente, Misha Hellzapoppin’ Auer). La regia è da attribuire all’eclettico e sfortunato Paolo Heusch che venne scoperto in flagrante durante una retata nel giro della prostituzione maschile e quindi, in ossequio alla becera pruderie dei tempi, fu costretto dalla produzione a cedere la firma del film al co-sceneggiatore Ottavio Alessi. La censura, non paga del divieto ai minori di anni 14 (sic), fece tagliare 23 metri (fra cui la gag macabra della testa di Auer servita da Totò su un vassoio d’argento).
(R.C.)
Approfondimenti
Scheda informativa del film, con un estratto della recensione di Mario Soldati; le location del film e un profilo di Paolo Heusch.
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Dai cataloghi delle piattaforme online:
L’UOMO CHE VERRÀ (2009, 117 min) di Giorgio Diritti
[disponibile su Amazon Prime Video, Infinity, Chili, Google Play, iTunes]
Giorgio Diritti nel 2005 realizza Il vento fa il suo giro, autoproduzione distribuita con il passa parola che diventa un caso nazionale. Quattro anni dopo, il suo secondo lungometraggio, L’uomo che verrà, rifiutato dal Festival di Venezia, vince due premi alla Festa del cinema di Roma. Il cinema di Diritti ha tempi e sguardi diversi rispetto a quelli del cinema italiano di oggi e, in un’epoca come questa, ci può aiutare a ritrovare il senso profondo delle cose. Mai il cinema italiano aveva trovato il coraggio di raccontare l’eccidio di Monte Sole, la più efferata strage compiuta dalle SS naziste nel corso della seconda guerra mondiale, 775 vittime, soprattutto bambini, donne, anziani. La guerra è il tema centrale del film, la sua brutalità e insensatezza, la sua feroce gratuità, inutilità. Ma assieme alla guerra Diritti racconta, con la precisione dell’etnografo e la verità del poeta, cos’era la vita in una comunità contadina nell’Italia della fine della guerra. Film corale, dove i volti di attrici note (Maya Sansa e Alba Rohrwacher) si mescolano a quelli di attori che il cinema ha saputo poco valorizzare (Claudio Casadio e Vito) e a volti nuovi (come quello incantevole della giovanissima protagonista, Greta Zuccheri Montanari). La verità dei luoghi, la forza del dialetto dell’Appennino bolognese, il dramma che si svolge sotto i nostri occhi, scolpiscono indelebilmente nella nostra memoria questo film, una delle opere più importanti del cinema di questi anni.
(G.L.F.)
Approfondimenti
Il minisito dedicato al film, distribuito dalla Cineteca, con note di regia e un’antologia critica; la recente diretta del regista sul film per il ‘Il Cineclub a distanza‘; il pressbook; un incontro con il regista in libreria; la puntata di La Grande Storia sugli eccidi nazisti in Italia e lo speciale TG1 su Monte Sole e alcuni spunti di riflessione per i più piccoli sul sito di AgiScuola.
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I MISTERI DI LISBONA (Mistérios de Lisboa, 2010, 272 min) di Raúl Ruiz
[Disponibile su Rai Play, sezione Fuori orario]
Il regista e sceneggiatore cileno Raúl Ruiz si cimenta con l’omonimo popolare feuilleton romantico dello scrittore portoghese Camilo Castelo Branco, trasformandolo in un film di successo di oltre quattro ore. Un’impresa impossibile per chiunque, ma non per Ruiz; esule, apolide, francese di adozione, forse l’ultimo vero surrealista che ha portato le idee di questo movimento fuori dall’epoca storica in cui è stato confinato. Inutile tentare di definirlo. Meglio viverlo, perdendosi nelle disavventure di João, l’unico bambino portoghese al mondo a non avere almeno due cognomi che sostengano la sua identità di fronte a una società gretta e meschina in cui la violenza sul più debole è ordinaria amministrazione. Con una grazia spietata che solo gli spiriti liberi come il suo possiedono, il regista (complice lo sceneggiatore Carlos Saboga) integra magistralmente tutti gli stilemi propri della soap opera con piani sequenze d’autore, accompagnando lo spettatore all’interno di un labirinto di vicende e personaggi che oscillano in moto perpetuo tra passato e presente (sempre che un presente esista) e tra sogno e realtà. Un’opera ipnotica, dagli effetti benefici. Da assumere preferibilmente tutta in una volta.
(M.Z.)
Approfondimenti
Tutto sul regista e il film: interviste, rassegna stampa, partecipazione ai festival e i premi vinti.
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