06/05/2020

Fuori Cinema | Film in TV (ma da vedere) _ giovedì 7 maggio

Oggi vogliamo festeggiare l’annuncio del David di Donatello speciale assegnato a Franca Valeri, in vista del suo 100° compleanno il prossimo 31 luglio. Una grande donna, attrice e autrice. E proprio con un film che nasce da un suo soggetto e che la vede protagonista vogliamo unirci alla celebrazione di Franca Valeri: Il segno di Venere.

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AMERICAN GRAFFITI (1973, 110 min) di George Lucas
[Iris (canale 22), ore 17.25 e 00.20]

Un caposaldo dell’immaginario americano. Il produttore Coppola, che dopo Il padrino è uno dei producer-director in grado di influenzare la politica hollywoodiana, riesce a imporne la distribuzione alla Universal e ne fa un successo epocale. “Non è la fotografia di una cittadina americana nel 1962, ma un film onirico che una lettura strettamente realistica non può non limitare e fraintendere. […] Uno spaccato della formazione psicologica, sociologica ed emozionale dei ragazzi che di lì a poco sarebbero andati a combattere in Vietnam, o si sarebbero rifiutati di farlo, o si sarebbero persi nell’anonimato di una società mostruosa, o non avrebbero avuto tempo di scegliere” (Franco La Polla). Un giovane Harrison Ford in una delle sue prime apparizioni.

Approfondimenti

Emanuela Martini racconta la prima americana del film a “Wiki Radio”; George Lucas ed Harrison Ford sul film; il making of; una prova con Ron Howard; recensione d’epoca di Roger Ebert e una nota recente di Richard Brody sul “New Yorker”.

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FORMULA PER UN DELITTO (Murder By Numbers, 2002, 115 min) di Barbet Schroeder
[Sky Cinema Energy (canale Sky 315), ore 12.30]

Il cosmopolita Barbet Schroeder, già critico dei “Cahiers”, collaboratore di Godard e produttore di Rohmer, Rivette, Fassbinder, Wenders e Ruiz, iniziò precocemente la sua carriera in piena Nouvelle Vague e in seguito fu forse l’unico a riuscire nell’impresa più ardua: affermarsi come regista e produttore a Hollywood, realizzando film di genere con una scrittura filmica personale. Ritroviamo anche in questo quinto (e finora ultimo) noir realizzato per una major (Warner) i motivi ricorrenti del suo cinema: il male, i giochi delle apparenze, le dinamiche perverse che svelano i segreti delle psicologie umane. Ispirato alla storia vera di due studenti assassini dei loro professori, il film ha evidenti echi hitchcockiani nel disegno di due ricchi rampolli di una località californiana che per sfuggire la noia si trastullano con deliri superomistici e architettano delitti perfetti. Ai due giovani demoni (interpretati da Ryan Gosling agli inizi e dall’inquietante Michael Pitt) si contrappone la poliziotta Sandra Bullock, personaggio più convenzionale ma efficace, come il film, meno originale di altri thriller di Schroeder ma ricco di sfumature sorprendenti e diretto con vigorosa abilità. Sesta collaborazione fra il regista e il direttore della fotografia Luciano Tovoli.
(R.C.)

Approfondimenti

Recensione di Roger Ebert (in inglese); sito ufficiale del film (in inglese); masterclass di Barbet Schroeder al Centre Pompidou (in francese); interviste video a Sandra Bullock, Ben Chaplin, Ryan Gosling, Michael Pitt e al montatore Lee Percy (inglese).

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SHAME (2011, 99 min) di Steve McQueen
[Cielo (canale 26), ore 00.45]

Storia di un vizio, di un’ossessione, di un’ordinaria follia: a Manhattan, un giovane uomo cerca e pratica sesso, comunque e dovunque. Occhieggia prede nelle metropolitane, chiama a casa le escort, faute de mieux abusa di se stesso. Senza censure, la disperazione d’una dipendenza e la voluttà dell’appagamento compulsivo. Shame vuol dire vergogna, ma non c’è ombra di degrado nella sua vita: “Bello come il diavolo, con la sua eleganza levigata e la sua apparenza gentile, Brandon è l’immagine della freddezza. È un fratello di American Psycho – solo che non è un killer” (Hollywood Reporter). Il film appartiene a due autori: il regista Steve McQueen, artista visivo britannico al suo secondo film, che ridisegna una Manhattan di malinconia grandiosa e astratta (tramonti acidi sull’Hudson, notti percosse di musica sensuale); e Michael Fassbender, che già aveva interpretato i dolori (erotici) del giovane Jung per Cronenberg, e qui trionfa nel corpo a corpo (nudo) con il suo non facile personaggio. Anche se il punctum di vera, misteriosa emozione è Carey Mulligan che offre, tra le lacrime, la sua lacerante interpretazione di New York.
(P.C.)

Approfondimenti

Antologia della critica italiana; le recensioni di Roger Ebert e di Todd McCarthy; il pressbook; il making of; video-intervista a Steve McQueen e Michael Fassbender; un dialogo a tutto campo su arte e cinema con il regista.

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Dalla mattina di venerdì 8 maggio

LA CUCCAGNA (1962, 104 min) di Luciano Salce
[Cine 34 (canale 34), ore 6.30; disponibile in streaming anche su Prime]

Luciano Salce è uno dei tanti registi di commedia che la critica nostrana ha troppo sbrigativamente derubricato a onesti mestieranti, pur riconoscendogli un particolare talento nel modulare i toni della satira e nell’esaltare il côté grottesco di comici come Tognazzi e Villaggio, insieme al quale contribuirà in maniera decisiva alla creazione dell’epocale maschera di Fantozzi. Ma come spesso accade i film incrinano le facili catalogazioni: è il caso di questo piccolo gioiello dimenticato, che intorno all’odissea di una giovane e ingenua dattilografa in cerca di lavoro ed emancipazione, costruisce una ferocissima satira dell’Italia del boom con la sua galleria di nuovi e vecchi mostri, fatta di arrivisti senza scrupoli, arrampicatori sociali, volgari palpeggiatori, laidi pornografi, imprenditori cialtroni e mazzettari. La densità della scrittura si sente – il soggetto è di Luciano Vincenzoni e Alberto Bevilacqua, ma nella sceneggiatura c’è anche lo zampino tagliente di Goffredo Parise –, tuttavia a rendere sorprendente e anomalo il film è soprattutto una questione di stile: girato per lo più en plain air e camera alla mano, sullo sfondo di una Roma canicolare e caotica magnificamente fotografata in bianco e nero da Erico Menczer, ha i suoi punti di forza nella vivacità del racconto, nella freschezza della recitazione e nella libertà del montaggio, che riecheggiano certo coevo cinema diretto e la modernità formale dei nascenti astri della nouvelle vague. Ai tanti motivi di interesse di quest’opera, pur non esente da eccessi bozzettistici e da un certo schematismo sociologista che suona oggi fatalmente un po’ datato, aggiungiamo un incipit che è di per sé un capolavoro di mise en abyme, il già riconoscibile tratto musicale di un quasi esordiente Ennio Morricone, e soprattutto la convincente prima volta di Luigi Tenco davanti alla macchina da presa, nel ruolo più che congeniale di un anarchico ribelle e anti-sistema – da brividi quando imbraccia la chitarra per intonare l’antimilitarista La ballata dell’eroe di un allora semisconosciuto De André –, unica ancora di salvezza per la sempre più disperata e disillusa protagonista.
(A.C.)

Approfondimenti

Note sul film su “Magazzini inesistenti” e di Francesco Lamendola; il rapporto Salce-Tenco; profilo del regista.

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Dai cataloghi delle piattaforme online

IL SEGNO DI VENERE (1955, 100 min) di Dino Risi
[Disponibile su Raiplay]

Franca Valeri, che a breve compirà cent’anni, dimostrò sessantacinque anni fa di essere uno dei grandi autori della commedia italiana. Meglio, che avrebbe potuto esserlo, se un panorama nazionale fin troppo affollato di sceneggiatori e un’esigente passione teatrale non avessero ridotto la sua scrittura per lo schermo a una manciata scarsa d’occasioni. Ma Il segno di Venere si staglia nitido nel genere nascente, è uno dei film italiani più belli degli anni Cinquanta così generosi di film bellissimi, e Dino Risi non mancava di riconoscere l’essenziale: “Il film era di Franca”, anche se alla voce sceneggiatura rispondono molti nomi, da Age a Flaiano a Zavattini. Fu Valeri a portare la ‘signorina snob’ in quell’ambiente romano piccolo borghese, a confrontarla con le impietose misure della cugina Sofia Loren, a inventarsi la sua ironia di disperati sorrisini, e la nonchalance con cui cerca di por rimedio alle umiliazioni con cui la vita la calpesta. Grande attrice, grande autrice, in direzione ostinata e contraria rispetto alla tradizione nazionale (maschile) della comicità: “Mi ribello all’affermazione corrente che sia un dono di natura. La comicità è un lavoro di cervello”.
(P.C.)

Approfondimenti

Roma Italia, diurna e notturna, saggio di Italo Moscati dal volume Il segno di Venere; la puntata di “Hollywood Party” per i 99 anni di Franca Valeri; una nota di Simone Emiliani su “Sentieri selvaggi”; l’origine della ‘signorina snob‘; la settimana Incom sul set.

 
 
Selezione titoli, commenti e approfondimenti a cura di Alessandro Cavazza, Roberto Chiesi e Paola Cristalli.