Yuzo Kawashima: l’anello mancante

Programma a cura di Alexander Jacoby e Johan Nordström con la collaborazione di Istituto Giapponese di Cultura

Yuzo Kawashima (1918-1963) è l’‘anello di congiunzione’ tra cinema classico e nuovo cinema giapponese. Assistente alla Shochiku di Keisuke Kinoshita e Minoru Shibuya, due pilastri degli studios, e maestro di Shohei Imamura, nei suoi film coniugò la cura e la precisione dello studio system con la stravaganza e l’audacia degli anni Sessanta. Per Imamura, Kawashima “incarnò il nuovo cinema giapponese con dieci anni d’anticipo”, parole che confermano l’impatto duraturo del cineasta malgrado la prematura scomparsa. Le precarie condizioni di salute ispirarono a Kawashima una visione del mondo pessimistica e uno spiccato senso dell’assurdo. La sua produzione alterna drammi realistici intensi e raffinati a commedie disinvolte e imprevedibili in bilico tra satira e farsa. Maestro di stile, Kawashima amava le composizioni elaborate, preferiva le inquadrature di gruppo ai primi piani e disponeva con intelligenza i suoi interpreti tra gli arredi e gli oggetti di scena. Dava carta bianca alle sue star e incoraggiava interpretazioni spigliate, chiassose e vivaci che valorizzavano al massimo la mimica, il tono della voce, la postura, i gesti e i movimenti. Il critico Koshi Ueno ha sottolineato l’importanza della “struttura spaziale e dell’interazione tra spazio e persone” in Kawashima e ricorda “le immagini di persone in movimento da un luogo all’altro, come ombre”. Forse l’enfasi posta sullo spazio e il movimento rispecchia l’esperienza personale di Kawashima: un ragazzo di campagna che divenne un sensibile cronista della vita urbana; un ‘regista errante’ che passò di studio in studio, dalla Shochiku alla Nikkatsu, alla Toho e alle sue affiliate, alla Daiei. Shohei Imamura, che fu assistente di Kawashima alla Nikkatsu, offrì alcune vivaci descrizioni del regista, “il tipo di persona che dorme di giorno e diventa attiva la notte”, un uomo che beveva molto ed esorcizzava con l’umorismo la paura della morte. Imamura scrisse che “era completamente diverso dai cosiddetti grandi registi costantemente alla ricerca della perfezione. Aveva una visione del mondo estremamente distorta. Detestava e sbeffeggiava ogni forma di esagerazione. Si ribellava costantemente al potere e si batteva contro l’ipocrisia”. I toni vivaci ed espliciti dei film dello stesso Imamura devono molto alle atmosfere di Kawashima. In Kashima ari (Una stanza in affitto, 1959) uno dei personaggi dichiara “Jinsei wa sayonara dake da”: “La vita è fatta solo di addii”. Queste parole, che saranno incise sulla sua lapide e verranno riprese da Imamura, che così intitolerà il libro di ricordi sul maestro, sembrano prefigurare la morte precoce del regista ed esemplificare la malinconia che pervade il suo umorismo. Nonostante una vita e una carriera purtroppo molto brevi, Kawashima diresse cinquantuno film, per un terzo dei quali fu anche autore o coautore della sceneggiatura. Questa retrospettiva proporrà una selezione delle sue opere migliori, concentrandosi sul periodo della prima maturità che coincise con gli ultimi anni alla Shochiku e il periodo alla Nikkatsu.

Alexander Jacoby e Johan Nordström