Ritratto di un artista eclettico: Alberto Lattuada

Questa rassegna è stata fortemente voluta da Carla del Poggio 

“Lattuada non è autore di commedie all’italiana, e forse proprio per questo ha dato al genere alcuni dei suoi titoli più importanti”. Le parole di Gianni Volpi, certamente l’esegeta più acuto del regista milanese scomparso lo scorso anno, aiutano a capire le ragioni della sua grandezza ma anche quelle dell’apprezzamento un po’ frenato che l’ha accompagnato in vita. Troppi film apparentemente diversi (nello stesso stanno fianco a fianco il melodramma popolare di Anna e il dramma gogoliano del Cappotto, oppure l’ambiguo ritratto di Mafioso e il romanzo di formazione della Steppa), troppi generi (epico, noir, melò, racconto morale, persino kolossal o fantascienza…), troppi salti di qualità tra i suoi soggetti (autori russi e spunti di cronaca, scrittori di provincia e pièce rinascimentali), forse anche troppi compromessi in una carriera che non è mai stata immediatamente riconoscibile o incasellabile in un unico filone: errore massimo di fronte alla pigrizia mentale di tanta critica!

Appiattiti tra due letture superficiali e contraddittorie, il calligrafismo delle sue prime opere e l’erotismo delle ultime (che stupide ironie, che volgarità gratuite sulle “fanciulle in fiore” si sono scritte alla sua morte, proprio per il regista che più di tutti era rifuggito dalla volgarità!), i film di Lattuada hanno faticato molto prima di essere davvero capiti. Nonostante le sue grandi qualità. Prima di tutto, il rispetto del proprio lavoro e dell’intelligenza del pubblico, quasi un comandamento professionale che gli ha fatto sacrificare l’originalità a tutti i costi (“lo stile è cercare di non averne uno, senza riuscirvi” gli aveva detto Cocteau) in nome di una semplicità e immediatezza comunicativa mai corrive. Poi la lucidità del suo sguardo sugli uomini, di cui sa cogliere limiti e vizi senza mai scivolare nel cinismo di tanta commedia all’italiana, moralista vero perché insieme ricco di pietà e di ironia, capace di comprendere i limiti delle azioni ma non di giustificarle. E insieme, come per depistare ancora di più gli esegeti superficiali, Lattuada è pittore acre e pungente di caratteri umani, narratore di una borghesia sempre sul punto di cedere le armi, umiliata ma mai davvero offesa. Dove il sesso si rivela infine come la strada maestra (l’unica?) attraverso cui arrivare per un momento alla pienezza della propria umanità anche se spesso finisce per essere l’ennesimo e più crudo specchio delle proprie frustrazioni e dei propri fallimenti.

Per questo, pur tra tante apparenti differenze, i suoi film sono capitoli di un percorso coerentissimo, di artigiano popolare e insieme di autore raffinato, dove anche le opere più apertamente “di commissione” finiscono per rivelarsi personalissime e sorprendenti. E massimamente godibili.

Paolo Mereghetti