JOSEF VON STERNBERG, NON SOLO DIETRICH

“Preferivo una mancanza di chiarezza capace di produrre una grandezza casuale a una chiarezza che al massimo poteva portare a un risultato mediocre.”

Josef von Sternberg, Fun in a Chinese Laundry

Il nostro omaggio al grande maestro della luce e del suono al servizio dell’astrazione (o si tratta di erotismo?) si compone di due sezioni e di tre dossier speciali. La prima serie di proiezioni, “Sternberg ante-Dietrich”, è dedicata al periodo iniziale della sua produzione, spesso trascurato, a partire dal suo primo film, The Salvation Hunters (in una nuova copia della UCLA Film and Television Archive), fino ad arrivare al suo primo film sonoro, Thunderbolt. La seconda serie si concentra invece sul periodo americano Sternberg-Dietrich, a sua volta tutt’altro che sufficientemente apprezzato. La prima sezione comprende anche Children of Divorce, raramente visto e diretto da Frank Lloyd, poi in parte rigirato e montato da Sternberg; la seconda sezione non si limita alla Dietrich e, tralasciando The Blue Angel, comprende invece il sottovalutato An American Tragedy.

Avremo la grande fortuna di avere il figlio del regista, Nicholas von Sternberg, nostro ospite per tutta la durata del festival. Oltre a presentare le proiezioni dei film del padre, avrà un ruolo importante in due dei dossier speciali.

I dossier sono pensati per farci avvicinare ancora di più al mondo e alla carriera di Sternberg e alla sua eccezionale visione del cinema. Tra i momenti salienti, Nicholas von Sternberg, operatore di professione, parlerà della concezione visiva nei film del padre e della figura di quest’ultimo per come egli l’ha conosciuto e per quanto gli è stato successivamente raccontato da chi aveva lavorato con lui. Tra i documenti presentati, due preziose interviste con il regista (Cinéastes de notre temps – D’un silence l’autre, realizzata a Parigi nel 1966, e The World of Josef von Sternberg, con Kevin Brownlow, realizzata a Londra nel 1967) e filmati amatoriali con Marlene Dietrich, un film promozionale della Paramount con il re delle creazioni di moda Travis Banton, The Fashion Side of Hollywood, un’altra possibilità di vedere il frammento ritrovato di The Case of Lena Smith, film perduto di Sternberg del 1929, una panoramica sulla carriera del regista da The Salvation Hunters al suo primo successo commerciale, Underworld, e un approfondimento dedicato al perduto Sea Gull / A Woman of the Sea, del 1926, prodotto da Chaplin, che poi si rifiutò di distribuirlo.

Nulla è più sicuro del fatto che i film di Sternberg non possono essere apprezzati – almeno non pienamente – se non proiettati su grande schermo. E l’esperienza risulta più intensa se la loro visione si concentra in un periodo di tempo limitato. Se le parole non bastano a descriverli, il piccolo schermo è altrettanto insufficiente. I film di Sternberg devono essere grandi perché fin dalla prima inquadratura ci trasportano in un imprevedibile mondo immaginario costruito attraverso i particolari, l’uso orchestrato di luci e ombre, di movimenti al limite della visibilità, o rivelati soltanto per un momento, che ci fanno desiderare di poter vedere di più. Sul piccolo schermo particolari essenziali scompaiono nell’oscurità, perfino nei DVD più recenti (si veda per esempio The Scarlet Empress, in cui le lunghissime sovraimpressioni sprofondano in una confusa semioscurità). Per rendere omaggio alla luce magica di Josef von Sternberg, Il Cinema Ritrovato presenterà le migliori copie in 35mm di cui si conosce l’esistenza.

Alla fine del 1931, dopo aver visto An American Tragedy, il critico francese André-R. Maugé osservava: “I film di Josef von Sternberg si vedono in tutto il mondo. Se ne discute e spesso li si critica perché sono troppo personali, troppo pieni delle sue manie per piacere a tutti. Eppure tutti notano quelle donne così belle che vi vivono gli istanti più tragici, più commoventi della loro esistenza immaginaria. Esse non sembrano più quelle bambole ben truccate che sulle riviste hanno i loro nomi. Altere, stanche, oziano sui divani con una sigaretta tra le dita, incrociano le loro belle gambe e sui loro visi scorgiamo i segni dell’amore senza speranza. E tutti pensano: ‘Che splendida attrice!’, senza capire che è Sternberg che, attraverso di loro, assume quelle pose disinvolte e parla con la loro voce dolce e velata; ed è il suo sguardo quello che filtra attraverso le loro palpebre semichiuse. D’altronde poco importa: lo scopo è raggiunto perché, che le si ami o che le si detesti, nonostante tutto si conserva il ricordo di quelle creature passionali per le quali l’amore continua a vivere, a morire e a rinascere, e che il regista inventa per poi liberarsi di loro. Josef von Sternberg è uno dei rari cineasti che ha davvero qualcosa da esprimere e che lo fa a modo suo, senza preoccuparsi di quel che succederà”.

Janet Bergstrom