Il vero Giappone: i documentari della Iwanami

A cura di Alexander Jacoby e Johan Nordström
In collaborazione con Istituto Giapponese di Cultura

Creata nel 1950 come ramo della nota casa editrice Iwanami Shoten, la casa di produzione indipendente Iwanami Productions divenne presto ciò che Markus Nornes definisce “l’epicentro della scossa che avrebbe cambiato il panorama del documentario giapponese”. Fondata per realizzare film educativi e promozionali, la compagnia finì per trasformare le convenzioni del cinema documentario giapponese. La Iwanami aprì la strada a uno stile caratterizzato da un’osservazione pacata e senza pretese moralizzanti e dalla ferma volontà di fissare su pellicola la vita in tutta la sua disordinata spontaneità, riconoscendo al contempo la soggettività dei registi e delle persone raffigurate. L’impostazione era innovativa per gli standard non solo giapponesi ma anche internazionali: Kyoshitsu no kodomotachi (Bambini a scuola) e E o kaku kodomotachi (Bambini che dipingono) di Susumu Hani, tra i primi esempi di documentario d’osservazione, anticipano di un anno o due il Free Cinema inglese e di alcuni anni il cinéma vérité.
I legami della Iwanami con il (relativamente moderato) Partito comunista giapponese attrassero registi con idee di sinistra; è ironico che alcune delle opere più significative della casa di produzione fossero commissionate da gruppi d’interesse capitalistico, come le compagnie manifatturiere ed elettriche, e da uno stato giapponese liberale, orientato agli affari e filo-americano. Ciò nonostante, la Iwanami incoraggiò la creatività adottando un’impostazione decentralizzata. Come scrive Nornes, “la relativa libertà d’approccio nella gestione di tutte le fasi della produzione permise ai registi della Iwanami di sperimentare all’interno dei confini del cinema d’impresa”. Particolarmente significativo fu il cosiddetto Gruppo azzurro (Ao no kai). I suoi membri s’incontravano nel jazz café Narcissus, nel distretto Kabukicho di Tokyo, dove “parlavano di cinema e teoria. Presentavano e commentavano i premontaggi, sperimentando nuove idee. Allo stesso tempo iniziarono a spingersi oltre i limiti del film d’impresa, trasformando per esempio i classici cortometraggi sulle acciaierie in imponenti spettacoli in Cinemascope”.
La Iwanami ebbe un impatto duraturo sul cinema giapponese, sia documentario che di finzione. Vi mossero i primi passi varie figure di spicco del cinema d’autore successivo agli anni Sessanta, come i documentaristi militanti Shinsuke Ogawa e Noriaki Tsuchimoto, che avrebbero affrontato alcune delle questioni più controverse della politica nipponica postbellica, e i registi della nouvelle vague giapponese Susumu Hani e Kazuo Kuroki (i film di finzione di Hani recano chiare tracce del minuzioso realismo dei suoi lavori per la Iwanami). La casa di produzione incoraggiò anche registe come Toshie Tokieda e Sumiko Haneda, quest’ultima una dei più celebri documentaristi del Giappone. La rassegna offre l’opportunità di conoscere una serie di film variegati, umani, sperimentali a livello formale e sottilmente politici, mirabili in sé ma anche di vitale importanza.

Alex Jacoby e Johan Nordström