Germaine Dulac, Cinéma pur

Femminista, socialista, e cineasta antesignana dell’avanguardia francese degli anni ’20 e ’30, Germaine Dulac (1882-1942) giocò un ruolo fondamentale nell’evoluzione del cinema sia come arte che come pratica sociale. Oltre ai suoi scritti teorici e alla sua lotta appassionata per la legittimazione del cinema, diresse più di 30 opere di finzione, molte delle quali sviluppavano nuove tendenze, dal film impressionista al film astratto. Produsse anche altrettanti cinegiornali e documentari, che arricchirono enormemente il panorama del cinema dal vero.
I suoi primi film rivelano l’influenza del simbolismo del XIX secolo, della pittura Preraffaellita, del teatro di Ibsen, della musica di Debussy e Chopin e anche della danza di Loïe Fuller. Quasi subito, la Dulac espresse la convinzione che il cinema, potendo contare su mezzi espressivi propri (la vita con le sue linee e forme, movimento e ritmo), potesse rappresentare visivamente gli stati d’animo e trasmettere (attraverso “sensazioni”) certi principi di emancipazione. In una società traumatizzata dalla guerra e segnata da un netto contrasto tra un discorso morale ufficiale conservatore e le nuove libertà de “les années folles” (i ruggenti anni ’20), la Dulac credeva che lo strumento moderno del cinema potesse esprimere, meglio di qualsiasi altra arte, la “vita interiore” e la realtà sociale dell’“Uomo Nuovo”, così come della “Donna Nuova”. Per questo, sperimentò nuove strategie e tecniche, che vanno dalle strutture narrative riflessive a stili interpretativi per astrarre associazioni visive ed effetti tecnici che consentissero di comunicare i suoi ideali sociali progressisti attraverso una complessa rete di significati basati sulle “suggestioni”. Così, sia nei suoi film più “commerciali” che in quelli più “d’avanguardia”, scopriamo la bellezza, la complessità e l’audacia della sua opera, e le meraviglie di quello che lei definiva “cinema puro”. Tuttavia, nonostante il suo notevole contributo al cinema, fino a poco fa la conoscenza della sua opera si limitava a pochi film: soprattutto La Fête espagnole (1919), basato su un libretto di Louis Delluc; La Souriante Madame Beudet (1923), adattato da un dramma di André Obey e Denys Amiel; e La Coquille et le Clergyman (1927) tratto da un testo di Antonin Artaud, che venivano considerati, nell’ordine, un film impressionista, uno femminista e l’ultimo surrealista. Inoltre, se da un lato i ricercatori di lingua inglese e tedesca hanno sottolineato la dimensione femminista del suo lavoro, dall’altro la tendenza franco-italiana è stata quella di concentrarsi sugli aspetti estetici innovativi.

Nel corso degli anni sono stati ritrovati più di 25 suoi film, che non solo modificano le concezioni più diffuse sulla collocazione della regista nella storia del cinema e dell’arte, ma che espandono anche la nostra percezione di questa storia. Con lo scrupoloso restauro di gran parte dei suoi film da parte di diversi partner (Archives Françaises du Film, Cinémathèque Gaumont, Cinémathèque Française, Cinémathèque Royale de Belgique, Lobster Films e Nederlands Filmmuseum), una nuova valutazione del suo lavoro oggi è possibile. Più della metà di queste opere, compresi nove film impressionisti (1919-1928), tre film “astratti” o “integrali” (1929), due “dischi illustrati” (1930), numerosi film di finzione (1932-1935), oltre a una ricostruzione di un “intervento filmato”, saranno presentati qui a Bologna per essere scoperti.

Tami Williams