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01/07
Cinema Lumière - Sala Officinema/Mastroianni > 17:45
Armenia: immagini documentarie 1911-1918 / Nahapet
Mariann Lewinsky, Gevorg Gevorgyan e Jay Weissberg
Daniele Furlati
Immagini documentarie 1911-1918
Storia. Tra il 1895 e il 1923 la popolazione armena dell’Impero ottomano viene ridotta alla fame e sterminata attraverso una serie di omicidi di massa, deportazioni, marce della morte. Nell’ultima fase, che inizia nel 1915, il genocidio etnico degli armeni diventa un deliberato progetto politico dei Giovani Turchi che avevano preso il potere nel 1913: un progetto pianificato e portato a compimento da Mehmed Tal’at Pascià, allora ministro dell’interno. Muoiono tra ottocentomila e un milione e mezzo di armeni.
Nel corso del XIX secolo, l’Impero ottomano aveva dovuto cedere tutti i suoi territori africani alle rapaci potenze coloniali europee. La Russia aveva preso la Crimea e le terre del Caucaso, comprese la Georgia e l’Armenia orientale. Nelle guerre balcaniche del 1912-1913 l’Impero perde anche tutti i suoi ricchi territori europei che vengono spartiti fra le nazioni della Lega balcanica, spalleggiate da Russia, Francia e Austria; centinaia di migliaia di musulmani cominciano il loro esodo verso l’Asia minore. Quando l’idea di un nuovo stato turco prende forma, viene concepito come una sorta di madrepatria anatolica, abitata da una pura popolazione turca: da qui l’espropriazione, l’espulsione e infine lo sterminio di armeni, greci e assiri che vivevano in Asia Minore da tempi lontanissimi; e in un secondo tempo la repressione ai danni della cultura e della lingua della più importante minoranza musulmana presente in Turchia, quella curda.
Travelogues. I cinématographistes dei fratelli Lumière vanno in Messico (Gabriel Veyre), in Tunisia (Alexandre Promio), in Giappone (Constant Girel), a Mosca (Charles Moisson), ma non a Erivan. E il Service de voyage della Pathé frères, attivissimo nel girare travelogues e scènes d’industrie in Cina, ad Astrakhan o a Dakar, chiaramente predilige le località turistiche e le colonie francesi. La presenza cinematografica nella regione caucasica, allora sotto dominio russo, è poca cosa: il catalogo Pathé elenca solo una veduta di Gagra (1914), una di Sotchi (1913), e tre travelogues che riprendono le scenografiche montagne della zona, senza indicazioni geografiche precise (À travers la Russie, 1908; Le Caucase pittoresque, 1913; Torrents et montagnes au Caucase, 1914). Di nessuno di questi film esiste oggi traccia (e forse nessuno di essi mostrava l’Armenia).
L’eccezione alla regola è Giovanni Vitrotti (1882-1966), primo direttore della fotografia alla Società Anonima Ambrosio, che negli anni 1910-1912 si ferma più volte a Mosca; lavora, per conto dell’Ambrosio, al servizio della compagnia di produzione Thiemann & Reinhardt. In un caso si spinge con la sua cinepresa fin nella regione caucasica: il risultato sono i diciassette dal vero presenti nel catalogo Ambrosio 1911, che descrivono i paesaggi del monte Kazbek e dell’Ararat, le città di Batumi, Erivan, Wladikawkas, Mleti, Tiflis (Tbilisi), Etchmiadzin, usi e costumi dei persiani caucasici e dei cosacchi. I travelogues di Vitrotti avevano una lunghezza standard, tra i 100 e i 250 metri (durata dai 5 ai 15 minuti); fino a oggi è stato possibile rintracciare un solo titolo della serie: una copia di Ani la città delle mille chiese conservata nella collezione Joye del BFI.
Newsreel. Solo due fugaci visioni, una di Kevork V (Giorgio V) che nel 1911 diventa katholikòs e supremo patriarca di tutti gli armeni, e una di un rotolo della torah a Kutaisi, prima dello scoppio della guerra. I filmati di guerra sono difficili da trovare e difficili da identificare. Le Front Turc mostra soldati russi e prigionieri turchi, probabilmente prima della battaglia di Sarikamish. In una serie di inquadrature che recano la didascalia aggiuntiva “dall’archivio sovietico”, riconosciamo il console americano Oscar S. Heizer, che fu testimone delle deportazioni ed espropriazioni del 1915 a Trabzon (Trebisonda), di cui riferì all’ambasciatore Henry Morgenthau. Non ci sono film che documentino esplicitamente tali atrocità: le immagini che più vi si avvicinano sono le fotografie che il soldato, medico e poeta tedesco Armin T. Wegner scattò nel deserto siriano, vicino a Deir ez-Zor, uno dei punti d’arrivo delle marce della morte.
Le immagini cinematografiche hanno bisogno di ricerche per conquistare il proprio significato, per costruire il proprio racconto. Chi mostrano, dove, perché? Un campo di rifugiati armeni a Port Said? Filmato da un operatore dell’esercito francese, nel 1918? Sappiamo che 4200 abitanti di sei villaggi armeni, famosi per aver resistito cinquantatré giorni all’assedio turco a Musa Dagh, vicino ad Antiochia, vennero salvati nel 1912 dalle navi alleate e condotti a Port Said, dove vissero in un campo profughi fino alla fine della guerra.
Mariann Lewinsky
Info sullaProiezione
Sottotitoli
Versione originale con traduzione simultanea in cuffia
Modalità di ingresso
NAHAPET
Scheda Film
Nel 1977 Armenfilm fece uscire Nahapet di Henrik Malyan, prima epica lettura cinematografica della tragedia armena tratta dal romanzo di Hrachya Kochar su un superstite del genocidio. All’epoca avevo otto anni, ma grazie ai miei nonni – scampati anch’essi al genocidio – sapevo già dei massacri compiuti dagli Ottomani. La nostra generazione viveva su due piani: la luminosità dell’infanzia e gli echi sussurrati di un trauma storico.
Nahapet, protagonista dalle sfumature epiche, cammina lungo un’interminabile strada rocciosa, in direzione del pubblico. Il suo nome significa ‘antenato di una nazione’. Ha lasciato il villaggio dell’Armenia occidentale in cui nel 1915 la moglie e i figli sono stati trucidati dai turchi sotto i suoi occhi. Nahapet tace, e l’impressione è che non parlerà mai più. Cammina, ma non è più vivo; non gli rimane nulla, non ha presente né futuro. Ma passo dopo passo la sua storia personale si snoda in una sintesi della storia della nazione. Come ha scritto il critico Semën Frejlich, “Nahapet è un archetipo che viene dal passato remoto e va verso il futuro”.
Nahapet è un combattente che non si arrende mai. Un melo sulla sponda di un lago, con i frutti rossi che rotolano innumerevoli verso l’acqua azzurra: così Malyan, il ‘poeta lirico’ del cinema armeno, raffigura l’enorme perdita subita dal suo paese. Ma come tutte le vere metafore questa immagine è densa di significati: è lutto ma anche continuazione, e speranza di raggiungere un giorno la sponda. La macchina da presa comunica non tanto la realtà fisica quanto un piano spirituale, e le mele seppur concrete sembrano irreali. Questa e altre scene strabilianti sono rese con un’intensa gamma di colori e raccontano una storia tragica immergendola in un delirio di tonalità innaturali. Nella stessa convenzione poetica è situata la famiglia forte e felice del protagonista, “incoronata da un melo e vestita di costumi soffici e vivaci come le ali di una farfalla” scrissero i “Cahiers du cinéma” nel 1986.
Fra i suoi molti significati, il film comunica al contempo la ‘felicità’ e il ‘lutto’ nel tentativo di toccare i due estremi dell’esistenza umana. La ‘salvezza’ e la ‘rinascita’ del melo simboleggiano così la rinascita di una nazione massacrata.
Siranush Galstyan
Cast and Credits
Sog.: dal romanzo omonimo di Hrachya Kochar. Scen.: Guenrikh Malyan. F.: Sergei Israelyan. Int.: Sos Sargsyan (Nahapet), Sofik Sargsyan (Noubar), Mher Mkrtchyan (Apro), Galya Novents (Movses). Prod.: Armenfilm. 35mm. D.: 90’. Col.
ANI LA CITTÀ DELLE MILLE CHIESE
ETCHMIADZINE, CAUCASE: ENTRÉE DU NOUVEAU ARMENIEN GREGOIRE V.
KOUTAIS, CAUCASE: FÊTE JUIVE DU KOUTCHI
LE FRONT TURC
RÉFUGIÉS ARMÉNIENS [OSCAR S. HEIZER IN TRABZON]
Didascalie russe
DES GRECS D’ASIE MINEURE, POURCHASSÉS PAR LES TURCS, SONT VENUS TRAVAILLER EN FRANCE
PORT SAID: CAMPS DE RÉFUGIÉS ARMÉNIENS
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