NAHAPET

Henrik Malyan

Sog.: dal romanzo omonimo di Hrachya Kochar. Scen.: Guenrikh Malyan. F.: Sergei Israelyan. Int.: Sos Sargsyan (Nahapet), Sofik Sargsyan (Noubar), Mher Mkrtchyan (Apro), Galya Novents (Movses). Prod.: Armenfilm. 35mm. D.: 90’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Nel 1977 Armenfilm fece uscire Nahapet di Henrik Malyan, prima epica lettura cinematografica della tragedia armena tratta dal romanzo di Hrachya Kochar su un superstite del genocidio. All’epoca avevo otto anni, ma grazie ai miei nonni – scampati anch’essi al genocidio – sapevo già dei massacri compiuti dagli Ottomani. La nostra generazione viveva su due piani: la luminosità dell’infanzia e gli echi sussurrati di un trauma storico.
Nahapet, protagonista dalle sfumature epiche, cammina lungo un’interminabile strada rocciosa, in direzione del pubblico. Il suo nome significa ‘antenato di una nazione’. Ha lasciato il villaggio dell’Armenia occidentale in cui nel 1915 la moglie e i figli sono stati trucidati dai turchi sotto i suoi occhi. Nahapet tace, e l’impressione è che non parlerà mai più. Cammina, ma non è più vivo; non gli rimane nulla, non ha presente né futuro. Ma passo dopo passo la sua storia personale si snoda in una sintesi della storia della nazione. Come ha scritto il critico Semën Frejlich, “Nahapet è un archetipo che viene dal passato remoto e va verso il futuro”.
Nahapet è un combattente che non si arrende mai. Un melo sulla sponda di un lago, con i frutti rossi che rotolano innumerevoli verso l’acqua azzurra: così Malyan, il ‘poeta lirico’ del cinema armeno, raffigura l’enorme perdita subita dal suo paese. Ma come tutte le vere metafore questa immagine è densa di significati: è lutto ma anche continuazione, e speranza di raggiungere un giorno la sponda. La macchina da presa comunica non tanto la realtà fisica quanto un piano spirituale, e le mele seppur concrete sembrano irreali. Questa e altre scene strabilianti sono rese con un’intensa gamma di colori e raccontano una storia tragica immergendola in un delirio di tonalità innaturali. Nella stessa convenzione poetica è situata la famiglia forte e felice del protagonista, “incoronata da un melo e vestita di costumi soffici e vivaci come le ali di una farfalla” scrissero i “Cahiers du cinéma” nel 1986.
Fra i suoi molti significati, il film comunica al contempo la ‘felicità’ e il ‘lutto’ nel tentativo di toccare i due estremi dell’esistenza umana. La ‘salvezza’ e la ‘rinascita’ del melo simboleggiano così la rinascita di una nazione massacrata.

Siranush Galstyan

Copia proveniente da