LE PLAISIR
Sog.: dai racconti Le Masque (1889), La Maison Tellier (1881), La Modèle (1883) di Guy de Maupassant. Scen.: Jacques Natanson, Max Ophüls. F.: Philippe Agostini, Christian Matras. M.: Léonide Azar. Scgf.: Jean d’Eaubonne. Mus.: Joe Hajos. Int. Le Masque: Jean Galland (Ambroise), Claude Dauphin (il dottore), Gaby Morlay (Denise); La Maison Tellier: Madeleine Renaud (Madame Tellier), Danielle Darrieux (Rose), Jean Gabin (Joseph Rivet), Héléna Manson (Marie Rivet); La Modèle: Daniel Gélin (il pittore Jean), Simone Simon (la modella Joséphine), Jean Servais (l’amico/il narratore). Prod.: Édouard Harispuru, M. Kieffer, Max Ophüls per C.C.F.C. – Compagnie Commerciale Française Cinématographique, Stera Film. DCP. D.: 93’. Bn.
Scheda Film
Tre episodi compongono Le Plaisir, film di Max Ophüls girato subito dopo La Ronde, tre anni dopo il ritorno da Hollywood, e considerato da molti un capolavoro.
Si inizia con Le Masque: un vegliardo frequenta le sale da ballo, il volto coperto da una strana maschera che lo fa sembrare uno spettro. Crolla nel bel mezzo di una danza sfrenata. Un dottore lo riporta privo di sensi alla rassegnata moglie che gli racconta la storia di suo marito. Segue La Maison Tellier: le ‘pensionanti’ di una casa di tolleranza vengono condotte dalla loro padrona, la dignitosissima Madame Tellier, ad assistere a una prima comunione in campagna. L’atmosfera campestre, il candore delle comunicande e il ricordo dell’infanzia spingono le pensionanti a esprimere emozioni che si rivelano contagiose. E infine La Modèle: una coppia di giovani artisti si ama alla follia, poi si separa. Lui se ne va, lei minaccia di buttarsi dalla finestra, lui non le crede, lei passa dalle parole ai fatti.
La scelta di Max Ophüls era caduta su tre racconti di Guy de Maupassant: Le Masque, La Maison Tellier e La Femme de Paul. Per ragioni finanziarie quest’ultimo fu sostituito all’ultimo momento con La Modèle. La voce del narratore, quella bella e profonda di Jean Servais, serve a tessere legami sottili tra i tre episodi.
Nel suo dizionario di cinema, Jacques Lourcelles ritiene che sia il secondo episodio, quello con Jean Gabin in un ruolo secondario, a richiamare maggiormente l’attenzione. In esso Jules, interpretato da Jean Gabin, perfetto nella veste di contadino goloso, sensuale e ingenuo, conosce le gioie effimere di un piacere appena accennato e subito fuggito. Dallo scontro inconciliabile tra due mondi, quello della campagna e quello ‘frusciante’ della galanteria, nasce una profonda malinconia. Qui, ancor più che negli altri due episodi, Ophüls appare al meglio della sua forma di regista.
Edouard Waintrop
Crudele, eppure confezionato con grande tenerezza: è lo schema di Le Plaisir, in cui tre racconti di Guy de Maupassant compongono un vero trittico, nel senso che il film è un unico insieme che consiste di tavole tra loro connesse, non una semplice raccolta di episodi.
Le Modèle è forse la migliore, non da ultimo grazie al modo in cui Ophüls introduce come protagonista Guy de Maupassant, cui attribuisce un ruolo singolare di interfaccia tra il narratore e la sua storia. Il narratore del film si è finora limitato a commentare gli episodi in maniera simile al meneur de jeu di La Ronde, ma adesso “presta la sua voce” a “uno scribacchino parigino”. Questo invita a un’esplorazione più approfondita del ruolo dell’autore: spettatore o partecipante, umanamente presente e dunque anche responsabile? Sono questioni fondamentali, sfiorate in maniera indiretta e lieve ma con la stessa tragica assolutezza che sarà presto evidente in Madame de…
Le Modèle presenta in brevi sequenze, precise come osservazioni scientifiche, le fasi dell’amore: innamoramento, cristallizzazione, disillusione, rottura, melodramma, il tutto poi saldato nel gran gioco di delusione, pentimento, gelosia e possessività rappresentato dal matrimonio come contrappeso dell’amore. È un racconto intenso, selvaggio, perfino brutale.
Maupassant, un amico dell’artista (Daniel Gélin), gli consiglia di lasciare la donna, divenuta un intralcio. “Era amore? Era orgoglio? Lo cercò ovunque”, dice l’autore-commentatore-osservatore secondo il quale non vale la pena di prendere la vita così seriamente. Ma il suo intervento conduce alla catastrofe. L’artista si isola, rifiutandosi di credere al carattere assoluto dell’amore possessivo della moglie. Lei dimostra di cos’è capace. Nella scena in cui una vertiginosa soggettiva segue Simone Simon mentre sale le scale e si getta nel cortile abbiamo il verdetto firmato e sigillato su questo matrimonio. Il gioco in cui ci si pente e si dipende.
Rimane solo una spiaggia deserta: la coppia inseparabile, l’artista e sua moglie. L’autore è tagliato fuori. Non è più il benvenuto, ha troppe colpe sulla coscienza. Tra la sua capacità di agire nell’interesse della vita e quella di capirla c’è un conflitto inconciliabile.
Peter von Bagh, Le bonheur n’est pas gai (2014), cura e traduzione di Antti Alanen
Bernardo Bertolucci racconta Le Plaisir