TWO WEEKS IN ANOTHER TOWN

Vincente Minnelli

T.it.: Due settimane in un’altra città; Sog.: dal romanzo omonimo (1960) di Irwin Shaw; Scen.: Charles Schnee; F.: Milton Krasner; Mo.: Adrienne Fazan, Robert J. Kern Jr.; Scgf.: George W. Davis, Urie McCleary; Cost.: Walter Plunkett, Pierre Balmain (per Cyd Charisse); Mu.: David Raksin; Int.: Kirk Douglas (Jack Andrus), Edward G. Robinson (Maurice Kru- ger), Cyd Charisse (Carlotta), George Hamilton (Davie Drew), Dahlia Lavi (Veronica), Claire Trevor (Clara), James Gregory (Brad Byrd), Rosanna Schiaffino (Barzelli), George Macready (Lew Jordan), Vito Scotti (aiuto regista), Erich von Stroheim Jr. (Ravinski), Leslie Uggams (cantante); Prod.: John Houseman Productions per Metro-Goldwyn-Mayer 35mm. D.: 107’. Col.

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Nel 1959, intravedendo gli ingredienti per un successo al botteghino (sesso, violenza, cinema, la “città eterna”), la MGM si buttò sui diritti del romanzo di Irwin Shaw ancor prima che fosse pubblicato. Ma quando apparve il film di Minnelli, era inevitabile il paragone con un altro racconto sulle disillusioni e sulle follie del cinema, La dolce vita di Fellini. Il ventitreenne Peter Bogdanovich non aveva dubbi su quale dei due film fosse il migliore: “Due settimane”, scrisse, “faceva sembrare il film di Fellini ordinario, ne sminuiva il valore”. Mentre quello di Minnelli era “un grande melodramma, pieno di passione, carnalità, odio e veleno, sicuramente il film più viscerale e vibrante che avesse mai firmato”.

“Mi chiedo”, disse poi Minnelli, “se io e il giovane Bodganovich avessimo visto lo stesso film”. E aveva ragione a nutrire delle riserve, perché il film di cui parla era una versione di Due settimane rimontata per ordine dalla direzione generale dalla “veterana” Margaret Booth, che aveva già massacrato Greed quasi 40 anni prima. Una scena con un’orgia era stata polverizzata; il personaggio di Cyd Charisse era stato privato di senso. Alla fine, le speranze di Minnelli e del produttore John Houseman di creare un degno erede del Bruto e la bella erano svanite. Due settimane, con un torvo Kirk Douglas, un rabbioso Edward G. Robinson e personaggi femminili assolutamente inverosimili non ottenne alcun successo di pubblico.

Eppure Bogdanovich aveva ragione e torto assieme. La passione, la carnalità, il veleno emergono dalle immagini così come dalla sceneggiatura di Charles Schnee. A tratti questo isterismo rischia l’infarto: prendiamo la scena dell’auto, un chiaro riferimento al Bruto e la bella, in cui Douglas e Cyd Charisse sbandano sulla strada, e la macchina da presa di Minnelli li segue quasi in affanno. In altri momenti più calmi, il film sa essere altrettanto avvincente: con le strade romane a far da teatro e l’ordinaria follia degli studi di Cinecittà. Viene anche da chiedersi se il personaggio di Kruger, un regista che deve rifarsi un nome, non rappresenti un autoritratto di Minnelli.

Questo non è un film ragionevole, è un melodramma. Ma tra le grida e le immagini urlate qualche amara verità rimane. E il modo in cui vengono descritte queste vite in preda a un caos morale non tradisce le intenzioni di Irwin Shaw: non per niente aveva intitolato una delle sue raccolte di racconti God Was Here, But He Left Early (Dio è stato qui, ma se ne è andato presto).

Geoff Brown

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