L’ÉTRANGE MONSIEUR VICTOR
T. it.: Lo strano signor Vittorio. Scen.: Albert Valentin, Charles Spaak. Dial.: Charles Spaak, Marcel Achard. F.: Werner Krien. Scgf.: Willy Schiller, Otto Hunte. Mu.: Roland Manuel. Su.: Antoine Archimbaud. Int.: Raimu (Victor Lagardanne), Madeleine Renaud (Madeleine), Pierre Blanchar (Bastien Robineau), Viviane Romance (Adrienne), Marcelle Géniat (la madre di Lagardanne), Odette Roger (Marie). Prod.: UFA/ACE. Pri. pro.: 4 maggio 1938 35mm. D.: 113’. Bn.
Scheda Film
La sceneggiatura di Albert Valentin, astuta nelle sue premesse e ben costruita, possiede alcune inverosimiglianze che sarebbero senza dubbio imbarazzanti se Jean Grémillon non avesse trattato il film con quella grande umanità che rende tutto spontaneo. È senz’altro la qualità dei più grandi saper fare accettare qualsiasi cosa come se le incoerenze del racconto appartenessero ai personaggi, come se facessero parte del loro fatale destino. […] Grémillon posa sui personaggi ordinari del film uno sguardo attento e pieno di rispetto. Tanto e così acutamente che, in questa avventura criminale dove tutto condanna il buon signor Victor, commerciante di giorno e ricettatore di notte, alla fine non si sa più bene chi siano le persone perbene e chi i mascalzoni. Viviane Romance, che trova uno dei suoi ruoli migliori, se non il migliore, incarna con eleganza una Adrienne sicura del proprio fascino ma fedele ai principi essenziali della morale. Blanchar, rimarchevole nella sofferenza e nella carica emozionale, trova la giusta misura fra l’aria febbrile, sua maschera abituale, e la rassegnazione che lascia trasparire senza bisogno di recitare. Madeleine Renaud, come donna sacrificata che finisce per scaricare un marito diventato imbarazzante dopo aver scoperto l’amore, si cala in questo personaggio ambiguo con una naturalezza inquietante. […] Quanto a Raimu, non lo si era mai visto così tragico, se non forse in L’Homme au chapeau rond di Pierre Billon. E se, a tratti, i suoi tic riaffiorano – favoriti da dialoghisti complici – sono da mettere sul conto di un personaggio in trappola, oppresso da paura e rimorsi, sentimenti che prima gli erano estranei. In questo film raggiunge l’apice della sua espressività. Ma bisognerebbe menzionare tutte le inquadrature, sorprendersi del modo in cui Tolone è stata ricostruita negli studi di Berlino senza che perdesse la sua vitalità. A questo proposito, Grémillon, il bretone-normanno, rende un superbo omaggio alla città in quella che è la più bella inquadratura del film: Robineau (Pierre Blanchar) che è evaso dalla prigione, ritorna dalla parte del monte Faron e, mentre avanza, la macchina da presa che lo accompagna scopre la rada in tutta la sua profondità. Ci sono film che vi rendono felici. Ce ne sono altri che, in più, vi appagano per la loro complessità, per la loro intelligenza (mai ostentata) e anche per il loro rigore. Dei film, liberi, che ci provocano delle emozioni pure.
Paul Vecchiali, L’Encinéclopédie. Cinéastes “français” des années 1930 et leur œuvre, Éditions de l’œil, Montreuil 2010