La vie est à nous
Sog., Scen: Jean-Paul Le Chanois, Jean Renoir, Pierre Unik; F.: Henri Alekan, Jean-Paul Alphen, Jean-Serge Bourgoin, Alain Douarinou, Jean Isnard, Louis Page, Claude Renoir; Mo.: Jacques-Bernard Brunius, Marguerite Renoir; Mu.: Hanns Eisler; Su.: Marcel Tesseire; Int.: Jean Dasté (l’insegnante), Jacques-Bernard Brunius (il presidente del consiglio d’amministrazione), Pierre Unik (il segretario di Cachin), Max Dalban (Brochard), Fabin Loris (un lavoratore), Teddy Michaux (un fascista), Charles Blavette (Tonin), Émile Drain (Gustave Bertin), Jean Renoir (il padrone del bistrot), Sylvain Itkine (il contabile), Roger Blin (un operaio metallurgico), Georges Spanelly (il direttore), Fernand Bercher (un segretario), Eddy Debray (l’usciere), Gaston Modot (il nipote Philippe), Henri Pons (signor Lecoq), Léon Larive (un cliente), Pierre Ferval (secondo cliente), Julien Bertheau (René, l’ingegnere disoccupato), Marcel Lesieur (padrone del garage) Marcel Duhamel (signor Moutet), O’Brady (Mohamed), Tristan Sevère (disoccupato), Guy Favières (vecchio disoccupato), Jacques Becker (giovane disoccupato), Jean-Paul Le Chanois (Louis), Charles Charras, Francis Lemarque, Marcel Marceau (cantanti del caffé all’aperto), Simone Guisin (donna del casinò), Madeleine Sologne (un’operaia in fabbrica), Madeleine Dax (una segretaria di seduta), Nadia Sibirskaia (Ninette); Prod.: Parti Communiste Français; Pri. pro.: 7 aprile 1936. 35mm. L.: 1767 m. D.: 64’. Bn
Scheda Film
La produzione degli anni Trenta di Jean Renoir è forse il risultato più alto ottenuto da un regista in un solo decennio. La bellezza di quel periodo è legata al costante rinnovamento, come se ciascun film stesse creando un nuovo genere, e allo spirito di collaborazione creativa. In questo senso La Vie est à nous è un film speciale, proprio per il metodo creativo in perfetta sintonia con i tempi. Ai tempi in cui era legato al Fronte Popolare, Renoir realizzò altri film tipici di quel clima: palesemente in Le Crime de Monsieur Lange e, in modo più sottile, Une Partie de campagne. Poi la summa gloriosa de La Marsigliese e La Vie est à nous fece da complemento a questi film realizzando il sogno di una squadra capace di lavorare in perfetta uguaglianza. I tocchi di regia sono in sintonia con il lavoro collettivo felice e ispirato di persone di enorme talento: Jacques Becker, Henri Cartier-Bresson, Jacques-Bernard Brunius e Pierre Unik. L’insieme unitario che ne risultò non ha niente a che vedere con l’irrimediabile mancanza di uniformità della maggior parte dei film a episodi che conosciamo.
Il film è molto moderno nel modo in cui mescola documentario e finzione: fatti, brevi storie, una documentazione sulle duecento famiglie più ricche del paese, l’editoriale de “L’Humanité”, la documentazione sull’estrema destra (“le Croix de feu”) e – non poteva essere altrimenti in un lm prodotto dal Partito comunista francese – luoghi comuni politici: grandi foto di Lenin, Stalin, Thälmann e Dimitrov, più gli slogan sulla repubblica sovietica francese. Questo film dalla struttura straordinariamente sfaccettata inizia con un’ironica lezione scolastica sulle bellezze e le ricchezze della Francia, passa a un Lehrstück sull’iniqua distribuzione di quelle ricchezze e si conclude con una visione utopistica in cui esse si sono finalmente materializzate nelle mani del loro vero proprietario, il popolo. Gli episodi recitati tendono a essere presentati come Lehrstücken, ma sono abbastanza complessi da umanizzare la linea di partito, soprattutto nella bella storia della coppia disoccupata (Julien Bertheau – Nadia Sibirskaïa). Questi episodi non scivolano mai nella superficialità (molto comune in film più recenti) presentando le scene di finzione sotto forma di documentario. Tra i due elementi c’è una felice tensione dialettica.
Renoir si considerava “un produttore in senso americano”. Anni dopo ebbe l’occasione di incontrare queste creature, in particolare Darryl F. Zanuck, che stimava il regista francese ma commentò – lo leggiamo nell’autobiografia di Renoir – “non è uno di noi”. Chi avrebbe potuto dirlo meglio?
Peter von Bagh