IL MULINO DEL PO
Sog.: dal terzo volume (Mondo vecchio sempre nuovo) del romanzo omonimo (1938-1940) di Riccardo Bacchelli. Scen.: Federico Fellini, Tullio Pinelli, dalla riduzione di Riccardo Bacchelli, Mario Bonfantini, Luigi Comencini, Alberto Lattuada, Carlo Musso, Sergio Romano. F.: Aldo Tonti. M.: Mario Bonotti. Mus.: Ildebrando Pizzetti. Scgf.: Aldo Buzzi, Luigi Gervasi. Int.: Carla Del Poggio (Berta Scacerni), Jacques Sernas (Orbino Verginesi), Giulio Calì (Smarazzacucco), Anna Carena (Argìa), Giacomo Giuradei (Princivalle Scacerni), Mario Besesti (Clapassòn), Leda Gloria (Sniza), Nino Pavese (Raibolini), Isabella Riva (Cecilia Scacerni), Dina Sassoli (Susanna Verginesi). Prod.: Lux Film. DCP. Bn.
Scheda Film
Scegliendo di focalizzarsi sull’episodio che racconta il contrastato amore tra Berta Scacerni e Orbino Verginesi (che occupa buona parte di Mondo vecchio sempre nuovo, la terza e ultima parte del fluviale romanzo di Bacchelli Il mulino del Po), Lattuada vuole in questo modo sottolineare la propria ambizione: fondere l’affresco storico e sociale con il melodramma passionale. Per farlo elimina lo sfondo fatalistico-provvidenziale che Bacchelli aveva mutuato da Manzoni e accentua invece la lettura della prima industrializzazione delle campagne (con lo scontro tra la modernità delle trebbiatrici e la vecchia tradizione contadina) e il nascente conflitto di classe con la nascita delle leghe socialiste. Ma lo alterna con la partecipe descrizione del mondo dei suoi protagonisti, i mugnai Scacerni e i contadini Verginesi, sottolineando di ognuno pregi e difetti, dedizione al lavoro e avidità, senso della famiglia e orgoglio. In questo modo il film sa attribuire ad alcune figure una forma epica – la testarda determinazione di Cecilia, la madre di Berta, e l’irresponsabile irruenza di suo figlio Princivalle – e ad altre una dimensione romanzesca – i tormenti amorosi di Berta e Orbino, ma anche le folcloristiche figure di Smarazzacucco e Scantafrasca – capaci di inframezzare (e irrobustire) il flusso del racconto e le sue ambizioni storiche. Senza che mai l’uno o l’altro di questi elementi prenda il sopravvento. E quello che ai tempi veniva letto come un limite (la sapiente mise en cadre delle inquadrature, accusate di ‘calligrafismo’) oggi deve essere letta come la volontà di equilibrare l’affresco storico e il melodramma, capaci di mettere in risalto la fisicità dei corpi ma anche dei paesaggi (le straordinarie scene dei campi di grano, contesi tra le donne in sciopero e i soldati mandati a falciarli). Così da conferire al racconto “una valenza epica e morale che fa del Mulino del Po una delle punte più alte del cinema di Lattuada” (Adriano Aprà).
Paolo Mereghetti
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Per concessione di Cristaldi Film
Restaurato in 4K nel 2021 da Cineteca di Bologna in collaborazione con Cristaldi Film, con il sostegno di Ministero della Cultura, presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata, a partire dal negativo scena originale nitrato, da un controtipo positivo di prima generazione e dal negativo suono originale