A TIME TO LOVE AND A TIME TO DIE
Tit. it.: “Tempo di vivere”; Scen.: Orin Jennings; F.: Russell Metty; M.: Ted J.Kent; Scgf.: Alexander Golitzen, Alfred Sweeney; Mu.: Miklos Rozsa; Int.: John Gavin (Ernst Graeber), Liselotte Pulver (Elizabeth Kruse), Jock Mahoney (Immerman), Don DeFore (Boettcher), Keenan Wynn (Reuter), Erich Maria Remarque (prof. Pohlmann), Dieter Borsche (cap. Rahe), Barbara Rutting (una soldatessa), Thayer David (Oscar Binding), Charles Regnier (Josef), Dorothea Wieck (Frau Liser), Kurt Meisel (Heini), Agnes Windeck (Frau Witte), Alexander Engel (Warden), Klaus Kinski (tenente della Gestapo), Karl Ludwig Lindt (Dr. Fressenburg), Alice Treff (Frau Langer); Prod.: Robert Arthur per Universal 35mm. D.: 132’. Col.
Scheda Film
Quello che mi incanta in Douglas Sirk è il delirante miscuglio tra medio evo e modernità, sentimentalismo e raffinatezza, inquadrature anodine e CinemaScope indiavolato. Di tutto questo, si capisce, bisogna parlare come fa Aragon degli occhi di Elsa, delirando molto, un po’, completamente, non importa: la sola logica di cui Douglas Sirk si preoccupa è il delirio. […] Penso che questo film sia bello perché mi dà l’impressione che Ernst e la sua Lisbeth, i due eroi dai volti così dolcemente alla Preminger, a forza di chiudere gli occhi con rabbiosa ingenuità in una Berlino sotto le bombe, arrivino al fondo di sé stessi più di qualsiasi altro personaggio cinematografico fino ad oggi. Come ha detto Rossellini, è grazie alla guerra che ritrovano l’amore. Si ritrovano, grazie a Hitler, uomo e donna che Dio creò. È perché bisogna amare per vivere che bisogna vivere per amare, ci dice Ernst mentre ammazza una partigiana russa, o Lisbeth bevendo il suo champagne a piccoli sorsi. Amarsi senza fine, ci dice con loro Douglas Sirk ad ogni immagine, in omaggio a Baudelaire, amarsi e morire. E il suo film è bello perché si pensa alla guerra guardando passare le immagini d’amore, e viceversa.
Jean-Luc Godard, in “Cahiers du cinéma”, 94, 1959