Cinemalibero

Censurati, rimontati, confiscati, proiettati nei circuiti underground o scomparsi nel nulla: i film in programma quest’anno sono il frutto di infinite ricerche e tortuosi restauri. La rinascita di queste opere ci mostra, ancora una volta, come il restauro sia ormai uno strumento essenziale per ripensare uno spazio cinematografico transnazionale e per riscrivere le molte storie del cinema. In questo senso, cioè nell’insieme delle sue prassi – filologiche, etiche, tecnologiche – il restauro può essere considerato come un atto di resistenza culturale.
È proprio nelle varie accezioni di resistenza – agli orrori dei regimi coloniali e delle dittature, al dislocamento culturale e all’inesorabile avanzata di una modernità fagocitatrice – che il cinema dei sette grandi autori di questo programma ha trovato una sua ragion d’essere. “I miei ricordi traboccano di vita, d’intensità” – scrive Ritwik Ghatak ” – “Non possiedo altro. Se avessi avuto il dono della scrittura, se fossi stato poeta o pittore avrei potuto, invecchiando, fare affidamento sugli occhi. Invece sono un cineasta. Ho perso più di tutto: non posso mostrare nulla di tutto ciò che ho visto.” Tutta l’opera di Ghatak gravita attorno alla tragedia dei profughi bengalesi, sradicati dalla loro terra dopo due secoli di dominazione inglese: esiliati dal loro passato, i protagonisti di Meghe Dhaka Tara non riescono a immaginare un futuro.
Anche l’esistenza di Xiao Wu, ladruncolo di provincia schiacciato dall’inesorabile avanzata dell’economia cinese, non sembra suggerire alternative: ad ogni boccata di fumo del protagonista sembra affievolirsi il battito cardiaco di un mondo destinato a scomparire. Se Xiao Wu, esordio di Jia Zhang-ke, non è mai di fatto esistito per le autorità cinesi, Shatranj-e Baad di Mohammad Reza Aslani è, dopo quarantacinque anni dalla sua uscita, un’opera praticamente inedita.
La messa in scena della violenza è al centro di due opere di latitudini molto distanti: esibita ed esasperata in Kisapmata, in cui la famiglia è una metafora della società filippina sotto Marcos, oggetto di una rievocazione catartica e satirica in Mueda, Memória e Massacre, primo lungometraggio della storia del cinema mozambicano e caso unico di un popolo che reinterpreta la sua storia coloniale.
Oltre a Monangambee di Sarah Maldoror, mostriamo anche i ritratti di Léon Damas e Aimé Césaire, poeti fondatori della Negritudine – “la poesia è il mio polmone di scorta” afferma quest’ultimo in Les Masques des mots. È a lei, pioniera-guerriera del cinema panafricano, narratrice delle lotte per l’indipendenza, femminista e militante, che dedichiamo il nostro programma.

Cecilia Cenciarelli

Programma