Documenti e documentari

Programma a cura di Gian Luca Farinelli

 

Di fronte alla crisi creativa e produttiva del cinema, oggi, il documentario vive un momento di grande successo, ma anche di grande banalità. Per motivi culturali ed estetici, ma anche perché costa poco, si può fare rapidamente, è alla portata di tutti, consente di affrontare facilmente temi molto attuali. Non troverete nulla di tutto ciò in questa sezione, che riunisce opere che hanno fatto la storia del documentario, film urgenti, a volte così complessi da non esser ancora finiti, film preziosi.
Quest’anno sono tante le opere degli anni Sessanta. Il più antico è uno dei più sorprendenti e sconosciuti, Mitt hem är Copacabana, il suo autore è stato il più grande documentarista svedese, Arne Sucksdorff. Difficile capire come sia stato possibile girarlo, protagonisti sono Rio de Janeiro e un gruppo di ragazzi di strada. Sucksdorff è un maestro nel riprendere i bambini. Film come questi – di cui personalmente ignoravo tutto – ti trasmettono una grande allegria, perché fanno capire che i film più belli devono ancora essere visti e che non c’è giustizia nemmeno nella storia del cinema.
I due corti di Jacques Rozier Le Parti des choses: Bardot et Godard e Paparazzi sono tra i più bei making mai fatti su un set, opere di un maestro nel mostrarci la felicità dell’istante, la vita che sta tra le righe, quello che normalmente scappa al cinema. Mai visti così i quattro protagonisti della prima metà dei Sessanta: BB, JLG, i paparazzi, i fan.
In questa linea dell’impossibile si muove Gideon Bachman per realizzare Jonas, che trasforma quello che rischiava di essere un impossibile documentario sull’icona del cinema underground newyorchese, Jonas Mekas, in uno dei film più spiazzanti e creativi mai visti, dove il ritratto diventa un film libero e creativo, quanto le opere di Mekas. Tutto è incantevole e perfetto, dai titoli di testa e coda disegnati dal regista, alle parole del protagonista nel suo inglese-lituano, e in generale all’aria del tempo che si respitra con Allen Ginzberg, Norman Mailer, il Chelsea Hotel, il ‘68, la Grande Mela.
Monterey Pop è il primo rockumentary. La foto che pubblichiamo in questa sezione, e che ritrae gli operatori del film – alcuni dei quali sono tra i più grandi documentaristi di sempre – dà bene l’idea di quanto questo film di Pennebaker fosse più avanti di un decennio, per il suo modo di riprendere dal vivo e raccontare un evento epocale come fu quel concerto.
Salesman dei fratelli Albert e David Maysles, e Charlotte Zwerin parla invece di gente comune, i venditori porta a porta di bibbie, e risolve la sfida più difficile per il cinema: raccontare in un film la realtà quotidiana. Beaubourg di Rossellini è un enigma. Com’è possibile che l’ultima opera del maestro del neorealismo, che racconta l’apertura del più importante spazio culturale dedicato all’arte contemporanea degli ultimi quarant’anni, sia rimasta sepolta così a lungo?
Personalmente seguo l’insegnamento dei Lumière e penso che cinema e fotografia siano parenti stretti. Bruce Weber, uno dei pochi grandi fotografi contemporanei, ce lo dimostra con i suoi film. e speriamo che la presentazione a Bologna di Nice Girls Don’t Stay for Breakfast serva a far ripartire la circolazione di questo prezioso ritratto di Robert Mitchum. Out of the Present di Andrei Ujică’s, racconta l’avventura nello spazio del cosmonauta Sergej Krikalëv, che al suo ritorno non trovò più la nazione che lo aveva spedito nel cosmo, l’Unione Sovietica. È la prima volta del 35mm nello spazio ed è, come il Cinema Ritrovato, un salto nel tempo e nello spazio.
Ho scelto i sette documentari del presente per come sanno raccontarci momenti più o meno noti della storia del cinema, non solo dandoci informazioni preziose, ma soprattutto percorrendo con coraggio strade stilistiche inesplorate. Come Archibald Alexander Leach divenne Cary Grant; come Antonioni seppe tradurre le novità della swinging London in un film sublime; come raccontare, partendo da pochi fotogrammi a disposizione, Salles Gomes, fondatore della Cinemateca Brasileira e primo studioso e restauratore dell’opera di Jean Vigo; come Dennis Hopper divenne un artista trai più liberi della scena contemporanea; come restituire la febbrile vitalità della prima cineteca africana, quella di Algeri: come ritrarre, senza banalizzarlo, un critico dal pensiero irriducibile come Jean Douchet.
Una selezione che ha ribaltato molte delle mie certezze e che mi impone perfino di parlar bene di una serie televisiva, quella dedicata alle sale mitiche: mostreremo Rêve au Tuschinski, meraviglioso cinema di Amsterdam, sogno di un emigrante spazzato via dal nazismo, documento struggente anche per la presenza di Max von Sydow.
Documenti e documentari prosegue idealmente in altre due sezioni del festival, quelle dedicate a Nicole Vedrès e a Bill Morrison. Nicole, la prima ad aver usato le immagini conservate negli archivi per trasformarle in nuovi film: Bill, colui che oggi sa fare questo con maggiore maestria. Due cineasti che hanno saputo trasformare documenti dimenticati in opere d’arte; e a proposito della frontiera tra cinema ed arte, Visages Village non è un film, è una metafora su come guardare il futuro.

Gian Luca Farinelli

 

 

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