The Film Foundation’s World Cinema Project 2015

Programma a cura di Cecilia Cenciarelli

 

“Un regista può sopravvivere in un museo, in un campo o nella giungla – scrive Serge Daney – del primo, secondo o terzo mondo. Nella giungla del terzo mondo sarà giudicato in base alla sua capacità di sopravvivere, alla caparbietà con cui continuerà a proporre film impegnati e a credere nel potere del cinema, anche se nessuno gliel’ha chiesto”.
Realizzati con lucidità e ammirevole economia di mezzi, i tre film restaurati quest’anno dal World Cinema Project, sono opere libere, imperfette, generose, e per diverse ragioni, rivoluzionarie. Distanti per geografie, vocazione e stile, La Noire de…, Insiang e Alyam Alyam (rispettivamente prima presenza senegalese, filippina e marocchina al festival di Cannes), sono percorsi dalla stessa urgenza di dar voce a un linguaggio proprio, affrancato da ogni forma di imperialismo culturale. Nella sua lenta, quasi atemporale evocazione della vita rurale marocchina che deve fare i conti con il tramonto delle sue leggi ancestrali e con il miraggio della prosperità, Ahmed El Maanouni, alla sua opera prima, trova il giusto equilibrio tra un lavoro d’inchiesta mai distaccato e l’omaggio ‘affettuoso’ a una comunità e alla sua memoria collettiva. La violenza dell’esodo che spoglia le campagne raccontata attraverso la storia di Abdelwahad è solo una delle declinazioni possibili del dramma, dolorosamente attuale, dei migranti. Lo scollamento tra le aspettative riposte dalla protagonista di La Noire de… nella sua nuova vita francese (tradotte inizialmente da Sembène in immagini a colori) e una realtà claustrofobica e gelida in cui le viene negato ogni desiderio e contatto umano, porteranno la donna verso una lenta e inesorabile alienazione. Nella sua perdita di identità si specchia il dramma del Senegal neo-indipendente ma ancora infestato da un neocolonialismo incosciente e razzista.
Agli antipodi rispetto alle condizioni produttive e distributive del Nordafrica e dell’Africa sub-sahariana, Lino Brocka opera in un’industria cinematografica bulimica che cerca di imporgli solo film di puro intrattenimento. Sfidando le leggi commerciali e la censura politica, Insiang veste i colori accesi del melodramma passionale dei quali Brocka si serve per “denunciare la violenza causata dal sovrappopolamento dell’ambiente urbano e la distruzione di un essere umano”. Al di là di ogni forzatura, queste tre opere sembrano accomunate da una portata morale che trascende ogni questione particolare. È nella scelta di mettere al centro del racconto la perdita di dignità umana e l’assenza di un pensiero sul futuro che il loro valore di protesta politica e di resistenza culturale si fa universale.

Cecilia Cenciarelli