The Film Foundation’s World Cinema Project

Programma a cura di  Cecilia Cenciarelli

Note di Luciano Castillo, Cecilia Cenciarelli, Aboubakar Sanogo e Maria Giovanna Vagenas

Con trentuno film restaurati in venti paesi, tra cui Armenia, Cuba, Egitto, Filippine, India, Iran, Kazakistan, Marocco, Messico, Senegal, Sri Lanka, Taiwan, Turchia, il World Cinema Project festeggia il suo decimo compleanno. Come in passato questo programma, imbastito attorno ai restauri più recenti, tenta di allargare il nostro campo visivo e d’indagine.
Immaginiamo allora di ripartire da dove ci eravamo lasciati: dall’ultima inquadratura di Memorias del subdesarrollo con il telescopio di Sergio Corrieri puntato sui carri armati che sfilano silenziosamente lungo il Malecón, all’alba della rivoluzione. Memorias e Lucía escono in sala a distanza di pochi mesi, tra l’estate e l’autunno del 1968, mentre i grandi movimenti di liberazione e di protesta attraversano il pianeta incidendo un solco profondo nella storia. Grazie a queste due opere il cinema cubano, nato nell’incubatrice dell’ICAIC e sfamato dal neorealismo italiano, si impone con forza all’attenzione internazionale.
Restaurare Lucía, ritrovare le immagini di questo ambizioso affresco della storia cubana, in cui la lezione di Visconti (ma anche di Kazan e Resnais) e la sperimentazione visiva si mescolano nella ricerca di uno stile e un linguaggio propri, completa in un certo senso l’esperienza iniziata con Memorias del subdesarrollo. Ci riporta cioè davanti agli occhi la libertà, la coerenza e la maturità espressiva raggiunte dal cinema rivoluzionario al suo apice, in grado di trovare un punto di equilibrio tra uno sguardo interno e uno marginale. È un cinema che parla una lingua comune a tutto il nuovo cinema latino-americano e che si esprime anche attraverso una profonda riflessione critica e teorica, come dimostrano i trattati-manifesto Un’estetica della fame di Glauber Rocha (1965), Per un cinema imperfetto di García Espinosa (1969) e Verso un Terzo Cinema (1969) di Getino e Solanas. Al centro della discussione il potenziale militante del cinema, la necessità di decolonizzare l’arte, di ribaltare l’estetica borghese e il controllo esercitato dal sistema capitalistico europeo e statunitense. Qui, il continente latino-americano e quello africano trovano un forte terreno di condivisione, rafforzando la voce e moltiplicando i punti di vista dei movimenti per un cinema del terzo mondo. L’opera di Med Hondo, la cui portata artistica e militante non è stata ancora completamente riconosciuta proprio per la coerenza inespugnabile del suo autore, contribuì in maniera fondamentale a questo dibattito. “Ironico, caustico, provocatorio, storicamente consapevole, intransigente ma profondamente empatico e perennemente innovativo, il cinema indomabile di Med Hondo – scrive Aboubakar Sanogo, a cui dobbiamo la (ri)scoperta di questo maestro – ci invita a riappropriarci del nostro destino e forgiare un mondo a nostra immagine e somiglianza”.

Cecilia Cenciarelli

 

Foto: Soleil Ô di Med Hondo (1967)

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