Riccardo Freda, un maestro del cinema popolare
La grande stagione di Riccardo Freda comincia nell’immediato dopoguerra, con i film d’avventura girati per la Lux di Riccardo Gualino, e termina negli anni Sessanta inoltrati, diciamo con Lo spettro. Anni in cui il regista si muove tra produzioni più ricche e altre di serie B, ma sempre secondo un suo credo di energia e velocità. Il cinema è un’arte che si fa in fretta: “Quando la lavorazione di un film dura troppo si perde d’entusiasmo, e il ritmo del film ne risente. L’ideale sarebbe di mettere la bobina nella macchina da presa, dare il via all’azione, e non fermarsi più”.
Lontano dal genere fondamentale del cinema italiano, la commedia, nemico giurato del neorealismo, Freda si è sempre presentato come regista ‘all’americana’, maestro del cinema d’azione, autore di grandi melodrammi, infine pioniere del nostro cinema horror. Nel suo progetto di cinema popolare un ruolo fondamentale ha la letteratura, magazzino di spunti celebri o meno, in cui alto e basso si confondono (Dante, Puškin, Hugo, d’Ennery). Come per i libretti d’opera, e come era stato per il film muto, che è la sua altra grande fonte di ispirazione. Buona parte dei suoi film, oltre che adattamenti letterari, sono remake di film muti che lo avevano appassionato da bambino, nell’infanzia di pied noir in Egitto: Valentino, Maciste, Griffith… Regista non certamente cinefilo, Freda si è nutrito di cinema sentendosi erede di una tradizione, ed è divenuto un maestro di stile: non sorprende l’amore che per lui avranno diversi registi tra loro lontani, da Tavernier a Tornatore.
Il movimento di macchina classico del suo cinema, è stato detto, è il carrello laterale o diagonale che guida un personaggio in un ambiente affollato, un luogo pieno di insidie magari, ma in cui il protagonista resta baricentro dell’azione e dello sguardo. Esiste certamente uno ‘stile Freda’, fatto di ampi e sontuosi movimenti di macchina, di carrelli e di gru, ed esistono almeno nella prima fase della sua produzione degli eroi frediani, nobili e coraggiosi, tipici del racconto popolare. Ma da un certo punto (negli horror, ad esempio) non si potrà nemmeno più parlare di buoni e di cattivi. Sarà un Freda più disilluso sull’uomo, e certo anche sul cinema.
Autore pieno, e pienamente popolare, Freda è stato ignorato dalla critica italiana, e riscoperto in Francia in chiave di politica degli autori. Ne fanno una bandiera i macmahoniens, ma piace molto anche a quelli di “Positif”. Anche in Italia la sua figura è stata poi omaggiata e riletta, specie dalla generazione che voleva liberarsi dell’egemonia ideologica del neorealismo. In seguito i cinefili apprezzeranno soprattutto i suoi horror, ma il suo cinema, così classico, non ha potuto godere del fascino perverso, pop o in seguito trash, di certa produzione di genere successiva. Freda è stato l’ideale per battaglie culturali e provocazioni, ma anche per appassionare generazioni di pubblici e di critici. Oggi il suo ci appare un esempio di cinema perduto da leggere anche insieme alla storia culturale, dei modi di produzione e del pubblico italiano e non solo.
(Emiliano Morreale)
Programma a cura di Emiliano Morreale