Progetto Keaton

Programma a cura di Cecilia Cenciarelli

Giro di boa per il Progetto Keaton, tenuto a battesimo insieme a Cohen Film Collection nel 2015 con lo scopo di restaurare i film realizzati da Buster Keaton tra il 1920 e il 1928. Sedici su trenta – tra lungo e cortometraggi – le opere completate fino a ora, con quasi duecento elementi ispezionati, riparati e analizzati, giunti a Bologna da Cohen (eredità Rohouer) e da molte cineteche del mondo. Un’operazione che ci consente di disegnare una mappa abbastanza accurata dei luoghi di conservazione e dello stato dei materiali esistenti, anche quelli a cui, per questioni legate allo sfruttamento commerciale di questi film, non siamo riusciti ad accedere. Si tratta fortunatamente di una minoranza di casi, ma ci ricorda quanto sia imprescindibile, più che mai in era digitale, documentare in maniera rigorosa e trasparente la selezione e le scelte compiute in fase di ricostruzione e restauro. Ma anche del fatto che il lavoro delle cineteche sia davvero insostituibile, proprio perché portatore di complessità e di costanti mediazioni. Per i quattro film presentati in questo programma, che come di consueto non seguono un criterio cronologico ma sono selezionati dall’avanzamento della ricerca sugli elementi, le difficoltà maggiori sono derivate dalla scarsità e/o dal deterioramento dei materiali di partenza (nel caso, ad esempio, di The Frozen North) o dalla lacunosità di elementi di prima generazione rispetto ai quali si impongono scelte di integrazione (come in The Scarecrow). Nel nostro caso si è tentato di raggiungere, come di consueto e per quanto possibile, un equilibrio virtuoso tra completezza e qualità fotografica dell’immagine.
La visione, in successione, di questi quattro film, conferma che i diciannove two-reelers realizzati da Buster Keaton in meno di tre anni, fossero tutt’altro che un allenamento preparatorio ai lungometraggi. E il fatto che l’evoluzione di questo artista non appaia lineare quanto quella di altri suoi coevi, se non nell’ampliarsi dei mezzi a sua disposizione, deriva forse dal fatto che fosse quasi innata, in lui, una precisa idea di cinema. A prescindere dalla riuscita complessiva delle singole opere, è chiaro che fin dall’inizio della sua carriera indipendente Keaton concepisse ogni situazione comica ‘pensandola’ in termini cinematografici, che raccontasse cioè le sue storie con la macchina da presa, piuttosto che piazzarla in un punto e recitare davanti a essa. Né dobbiamo attendere le opere più complesse, come lo sono indubbiamente The Navigator e Go West, per sentire il magnetismo del suo sguardo.
Postilla: allo sguardo di Keaton, come sappiamo, sono stati dedicati infiniti scritti. Rimane forse insuperato il breve testo teatrale El paseo de Buster Keaton in cui García Lorca scrive: “I suoi occhi infiniti e tristi, come quelli di una bestia appena nata. Sognano gigli, angeli e cinture di seta. I suoi occhi sono fondi di bottiglia. Occhi di bambino scemo, bruttissimi e bellissimi. I suoi occhi da struzzo. I suoi occhi umani nell’equilibrio sicuro della malinconia”.

Cecilia Cenciarelli