OMAGGIO A MAURICE TOURNEUR

“Maurice Tourneur (…) è senz’ombra di dubbio il regista francese che ha lavorato negli Stati Uniti nel modo più proficuo. Ha adottato dei procedimenti tecnici americani con brillante disinvoltura e talvolta con virtuosismo, il che costituisce già un motivo di elogio. Ma è rimasto francese. Ha conservato la sua natura e il tono della sua razza. Il cocktail di questa personalità e degli elementi nuovi che ha adottato, è seducente. Sarà l’unico rimprovero che farò a Maurice Tourneur: è sempre seducente. Non mi ricordo di avere visto nei suoi film qualche cosa di brutto”. “Un artigiano sincero e attento che plasma una sorta di atmosfera che conferisce all’opera una forma, uno stile, un carattere superiori”.

Sono due considerazioni di Louis Delluc sul cinema di Maurice Tourneur, uno dei non rari casi di autori celebrati per un certo tempo e poi brutalmente precipitati nell’oblio.

All’anagrafe Maurice Thomas, Tourneur (Parigi, 1876-1961), debuttò come attore teatrale nelle compagnie di Réjane e poi di André Antoine, dopo aver collaborato come pittore decoratore di Rodin e di Puvis de Chavannes. Iniziò a lavorare nel cinema con Victorin Jasset e Emile Chautard occupandosi di sceneggiature. Nel 1912 diventò regista alle dipendenze degli studi Éclair, succedendo a Chautard nella realizzazione di film popolari a basso budget, oggi perduti. All’epoca furono particolarmente apprezzati per il senso della composizione teatrale e plastica Le Système du docteur Goudron et du professeur Plume (1913) da Poe, La Dame de Montsoreau (1913), Rouletabille (1914), in due episodi, da Gaston Leroux. Dimostrò un’estrosa versatilità, cimentandosi con un vasto ventaglio di generi: dal mélo alle commedie, dal Grandguignol (ispirandosi a André de Lorde), all’avventura (via Dumas) al poliziesco (via Gaboriau e Leroux).

Nel 1914 partì per gli Stati Uniti a dirigere la succursale statunitense dell’Éclair e si affermò come uno dei registi più importanti della Paramount, per cui realizzò più di cinquanta film. Mitry sottolineava che per la loro appartenenza ad una corrente “simbolista” o “fiabesca”, i suoi film si differenziavano nettamente rispetto allo stile hollywoodiano (fra questi, ricordiamo Trilby, 1915, da George Du Maurier, La figlia della Scozia, 1917, Una povera bimba troppo ricca, 1917, The Blue Bird, 1917, da Maeterlinck, Woman, 1918, in due parti, L’ultimo dei Mohicani, co-regia di Clarence Brown, 1920, e L’isola del tesoro, 1920, da Stevenson, con Lon Chaney). Per dare un’idea del suo prestigio, basti pensare che nel 1918 il periodico statunitense “Photoplay” lo classifica quarto più grande regista del mondo dopo Griffith, Ince e De Mille.

Il suo periodo statunitense terminò nel 1926 quando litigò con Irving Thalberg e abbandonò The Mysterious Island, che fu concluso da Lucien Hubbard. Ma il ritorno in Europa non fu semplice: attaccato per la sua assenza durante la prima guerra mondiale, subì una violenta campagna stampa che lo obbligò ad interrompere momentaneamente le riprese di L’Équipage da Kessel (1928). Prima di ritornare in Francia, si recò in Germania dove realizzò La nave degli uomini perduti (1929), con Marlene Dietrich. Negli anni Trenta continuò a dare prova di eclettismo ma senza più raggiungere il successo di critica degli anni del Muto. Realizzò film polizieschi – Il processo di Gaby Delange (1930), In nome della legge (1932), Justin de Marseille (1935), Cécile est morte (1944), da Simenon; commedie come Donna di lusso (1934), Sorridete con me (1936); melodrammi quali Le due orfanelle (1933) e Le Val d’enfer (1943); film storici come Koenigsmark (1935), fantastici come La mano del diavolo (1943), da Gérard de Nerval, e uno dei rari esempi di pregevole teatro filmato, L’avventuriero di Venezia (Volpone, 1941), con Louis Jouvet e Harry Baur. Nel 1949 un grave incidente lo indusse a ritirarsi dal cinema e a dedicarsi alla traduzione in serie di romanzi polizieschi, mentre suo figlio Jacques diventava un fortunato regista di film noir, fantastici e orrorifici negli Stati Uniti.

(Roberto Chiesi)

Sezione a cura di Peter von Bagh e Gian Luca Farinelli in collaborazione con Pathé