NEL CUORE DEL NOVECENTO: IL SOCIALISMO, TRA PAURA E UTOPIA

Il Novecento può essere a ragione definito il secolo del socialismo: vi si trovano gli inganni, le speranze, le illusioni e le paure più grandi. Inoltre, a dimostrazione di ciò, alcune guerre furono condotte per un intreccio di motivi ispirati dalla paura del socialismo. Il socialismo creò un campo elettrico anche nel cinema, con una manciata di film immortali che si fecero portatori di una fede quasi selvaggia, film che sono oggi visti troppo raramente come Kuhle Wampe, La vita è nostra, Native Land, tutti permeati di immagini e suoni indimenticabili, tipici simboli del loro tempo. Questi film sono ancora oggi esempi unici di approccio a realtà complesse in tutti i sensi, e ricorrono a tutto l’arsenale degli strumenti cinematografici. Era ovviamente una caratteristica specifica degli anni Trenta, se pensiamo al cinema sovietico dell’epoca, ai film di Joris Ivens o a cosa fu filmato della Guerra civile spagnola e come. Fu questo il contesto di molti film poco noti che siamo orgogliosi di presentare: Sul pane quotidiano di Piel Jutzi, La rivolta dei pescatori (unica regia cinematografica di Erwin Piscator), Kämpfer Borsty di Gustav von Wangenheim – gli ultimi due realizzati in Unione Sovietica.

La stessa epoca produsse immagini opposte di grande effetto: Il giovane hitleriano Quex di Hans Steinhoff cannibalizza tutta la tradizione del cinema proletario e, almeno nella realtà, fu un successo; il sinistro GPU (1942) di Karl Ritter è una magistrale manipolazione che finge di documentare i retroscena della guerra mondiale che stava allora infuriando; l’epico Noi vivi di Goffredo Alessandrini è un capolavoro strano e cupo degli anni della Seconda guerra mondiale. A questi titoli aggiungiamo due singolari contributi americani: entrambi prodotti da Walter Wanger, mostrano una realtà contemporanea nella quale le tendenze socialiste e quasi fasciste si intrecciano in maniera vibrante. Sia Gabriel over the White House (Gregory La Cava) che The President Vanishes (William Wellman) furono diretti da grandi registi, e quindi la loro ambivalenza merita di essere decifrata e produce una visione memorabile.

E infine un’opera degli anni della Guerra fredda, uno dei migliori titoli di quell’epoca ingloriosa: Salto mortale (1953) di Elia Kazan, film di grande effetto visivo su una compagnia circense e sulla sua fuga dalle fosche realtà della Cecoslovacchia, con una ricca galleria di volti tormentati e un senso della “ronde” del Realsozialismus che non risparmia nessuno.

“Uno spettro si aggira per l’Europa: lo spettro del comunismo…”

(Peter von Bagh)

Sezione a cura di Peter von Bagh