Luciano Emmer 100: l’arte dello sguardo

Programma a cura di Emiliano Morreale
Testi di Marco Giusti, Neil McGlone, Emiliano Morreale, Alexander Payne

 

Bollato insieme ad altri autori degli anni Cinquanta con l’etichetta di ‘neorealismo rosa’, Luciano Emmer ha realizzato in quel periodo alcuni film di straordinaria freschezza, aiutando a ridefinire le coordinate estetiche del cinema italiano. Tra la crisi del neorealismo e prima della commedia all’italiana, il suo cinema trova uno spazio autonomo e lui diviene cantore di personaggi giovani e di ceti in mutamento, alle soglie della modernità.
Alla fine degli anni Trenta, appena ventenne, Emmer inventa il documentario d’arte con una manciata di titoli a partire da Racconto di un affresco (1938), sui dipinti di Giotto nella Cappella degli Scrovegni. A cavallo della guerra la sua capacità di raccontare la pittura con il linguaggio del cinema rimarrà ineguagliata. I suoi film di finzione, a partire da Domenica d’agosto (1950), andranno in direzione opposta: non dall’immagine pittorica al racconto, ma dal racconto allo sguardo, alla distrazione, all’atmosfera. Il cinema di Emmer fotografa sempre un momento di passaggio: una vacanza (Domenica d’agosto, Parigi è sempre Parigi, 1951; La ragazza in vetrina, 1960), l’entrata nella vita adulta (Le ragazze di Piazza di Spagna, 1952; Terza liceo, 1954) e più in generale l’entrata, teneramente fotografata, dell’Italia nell’età del benessere. Oggi ci pare di ricondurre a una sorta di metafora storica gli aspetti del suo cinema: lo sguardo attento alle donne, ai giovani, alla piccola borghesia emergente, la sensibilità ‘atmosferica’, il gusto di intrecciare con leggerezza le storie intorno a un’unità temporale. Lo sfondo dei suoi film degli anni Cinquanta è quasi sempre la Roma di quartieri moderni e popolari, in movimento (un esempio per tutti: Camilla, 1955), sospesa anch’essa tra città e campagna; lo spazio urbano diventa un modo di inscenare lo scorrere del tempo.
Il regista abbandona il cinema quando si stanno affermando le grandi forme della modernità cinematografica, da Antonioni a Fellini, e la commedia all’italiana sta per ereditare in apparenza alcuni spunti del suo cinema (ed Emmer la detesterà). Colpito dalla censura per il suo La ragazza in vetrina (1961), film che avrebbe potuto inaugurare una nuova stagione della sua opera, il regista si dedica per trent’anni alla televisione, e in particolare a quella singolare forma che erano i caroselli, cortometraggi sponsorizzati da aziende, che nella Tv italiana erano l’unica forma di pubblicità consentita. A modo suo, fu questa la sua modernità: un luogo di sperimentazioni narrative, un modo di stare dentro il mutamento di un paese, mentre il mondo che lui aveva immortalato in fragile cambiamento andava scomparendo.

Emiliano Morreale

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