Loïe Fuller: il fiore del cinema
Loïe Fuller è stata una personalità unica, affascinante e contraddittoria, che ha profondamente segnato la sua epoca. La sua vita e la sua opera sono ispirate da un’unica esigenza: la ricerca e l’espressione dello spirito attraverso la luce.
Delle tre donne a cui è dedicata la sezione del cinema muto del festival, Loïe è forse, almeno cinematograficamente, la meno conosciuta. La danza, sua principale attività, è in un periodo di profonda rivoluzione e trova in lei una nuova forma di espressione che la porta ad affrancarsi dai rigidi canoni imposti dal balletto. Dalla fotografia alla scultura, all’architettura, gli artisti più influenti s’ispirano a colei che diviene ben presto la musa della Belle Époque, la cui importanza è stata finalmente riconosciuta dai critici e dagli scrittori dell’era moderna. Il cinema, in vero, non ha ancora valutato correttamente la produzione di quest’artista e di conseguenza, ne ha misconosciuto l’importanza nella sua stessa evoluzione. La difficoltà di delimitare un corpus di opere che racchiudesse quest’influenza è stata probabilmente una delle cause. Ma se quest’affinità si concretizza in un’effettiva produzione filmica solo nella piena maturità della sua carriera, esistono comunque altre prove di questo profondo legame.
La simultaneità della nascita del cinema e della Serpentina, la danza che nel 1892 la rende celebre, va oltre l’aspetto puramente cronologico. I due spettacoli si basano infatti sulla stessa fondamentale essenza: il movimento e la luce. Nello specifico, i documenti filmici sui quali basarsi non sono diretti, nel senso che non si hanno testimonianze in cui Loïe stessa sia esecutrice della danza che la rese famosa. Nondimeno l’enorme popolarità che la Serpentina raggiunge come spettacolo teatrale la fece diventare uno dei soggetti emblematici del cinema primitivo.
Le principali case di produzione come Gaumont, Pathé, Edison e i loro realizzatori più importanti, fissano i propri sguardi e le macchine da presa su questa coreografia, favorendo la nascita di innumerevoli versioni più o meno somiglianti e interpretate da una schiera di imitatrici.
Vale però la pena di sottolineare come il cinema, attraverso questo soggetto, muove i primi passi della propria storia. L’alternanza delle figure simboliche che scaturiscono come per magia dal movimento continuato dei veli, la fantasmagoria di cui parlava Mallarmé descrivendo questo spettacolo, è speculare, in ambito cinematografico, all’uso della luce e all’applicazione del colore sulla pellicola. I film di danza sono senza dubbio una delle principali espressioni del cinema di questo periodo, lo potremmo definire un vero e proprio genere. Esso è fortemente influenzato dalle originali coreografie della Fuller, come dimostrano i numerosi film di imitatrici sulla non meno celebre Danse du papillon.
Il ritrovamento e il restauro di una parte di Le lys de la vie (1921), unico tra i suoi lungometraggi giunti sino a noi, è un momento unico di questo progetto e offre alla critica e al pubblico del Cinema Ritrovato la possibilità di (ri)conoscere quest’artista anche come autrice.
Massimo Piovesana